DPInTour2020: Attraversamenti Multipli

L’identificazione personale è un processo correlato al luogo e alle persone nelle quali ci riconosciamo. Il fattore significativo di questo sviluppo sono gli incontri. Questa ricerca non può avvenire se non attraverso lo sradicamento da un ambiente convenzionale, per permetterci di esplorare e stupirci, interfacciandoci con linee di pensiero atipiche e pungenti. Questa necessità prende fiato nei luoghi più disparati e con le esigenze più controverse. Mettersi alla prova è tutta una questione privata. Ma condividerla lo è ancor di più. Saranno quelle parole, quella musica, quei movimenti così perfettamente studiati e selezionati a connetterci ad un artista. Porterà ad una crescita ambivalente, ad una omologazione empatica tra lo spettatore e il performer.

Attraversamenti Multipli si sviluppa proprio con l’obiettivo di permettere questa connessione. La creazione di una rete che permetta di unire le persone di una piazza a linguaggi artistici innovativi e dalle tematiche vitali. Uno spazio fondamentale per prendere coscienza di sé stessi e del luogo che ci circonda sentendosene parte. Soprattutto quando questo luogo è Roma, dagli spazi così espansivi e sconosciuti. Il Festival ha riunito un quartiere di periferia agli ampi poli della città. Così come ci siamo uniti anche noi ragazzi della Redazione Meticcia. Un’esperienza fondamentale per riconoscerci nelle diversità di ciascun di noi e nella visione degli spettacoli e dei successivi confronti. Condividere questi momenti è stata una preziosa fonte di arricchimento e crescita personale.

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L’esperienza ad Attraversamenti Multipli è stata avvolgente. Era un contesto “aperto”, in tutti i sensi. Gli spettacoli erano alla portata di tutti, dagli spettatori recatisi in piazza apposta per assistere, ai passanti ignari di ciò che stesse succedendo ma incuriositi da quell’atmosfera in fermento, fino alle persone affacciate ai balconi del palazzo che dava sulla piazza. C’erano adulti, ragazzi, anziani e bambini. C’erano famiglie, coppie e gruppi di amici. E poi all’interno della nostra redazione, la REdazione Meticcia (RE.M), l’apertura è stata a livello mentale. E’ stata un’esperienza di condivisione e connessione del tutto nuova ma bellissima.

Avere a che fare in modo così stretto con persone di culture diverse mi ha aperto la mente su ciò che significa davvero “unire” le forze.
Eravamo tante piccole parti, ognuna diversa dalle altre, che lavoravano assieme come un’unica entità per portare la loro visione e il loro punto di vista, dall’interno verso l’esterno.
Conoscere i ragazzi della RE.M. mi ha arricchita davvero tanto e questo è ciò che di più prezioso mi porterò via da
quel festival.

Le numerose esibizioni alle quali abbiamo assistito sono state particolari, ognuna a suo modo. Hanno avuto un’originalità che non avevo mai riscontrato prima. Non tutte mi hanno saputo coinvolgere mentalmente allo stesso modo, ma una cosa che ho notato con piacere è che tutte hanno saputo creare la giusta atmosfera. Mi guardavo intorno e percepivo la concentrazione degli altri spettatori, come se fossero completamente proiettati sulla scena insieme agli artisti. Ho scoperto, infine, una parte di Roma, della mia città, che non avevo mai visitato prima. Ho scoperto altre realtà, vicinissime a me ma completamente sconosciute. E’ pazzesco ed emozionante vedere come un quartiere prenda vita attraverso l’arte. Ogni parte di esso sembra volerti parlare e farti scoprire ogni volta qualcosa di nuovo.

 

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In questa tanto breve quanto intensa esperienza, consistita nell’essere stato parte integrante della cosiddetta Redazione Meticcia (RE.M.) del Festival di Attraversamenti multipli edizione 2020, più volte mi sono ritrovato a riflettere proprio sul significato dell’aggettivo “meticcio”. Fin dal primo momento che l’ho conosciuto, il nome della nostra redazione mi è sembrato quello che meglio potesse descriverne la natura, l’unico in grado di indicarne con efficacia le ragioni costitutive, e ho subito cercato di trovare una spiegazione che desse senso a questa mia impressione. “Meticcio” è da tutti noi comunemente usato per riferirci a chiunque sia nato/a da due persone di etnie diverse, dunque rischia di assumere il più delle volte un’accezione negativa: su un piano estensionale, spesso ad essere meticcio è tutto ciò che non è autentico, perché originato da una mescolanza, tutto quanto vi è in questo mondo di contaminato, impuro. Grazie al Festival ho invece riflettuto in profondità sul fatto che non possa esserci salvezza in società se non nell’essere meticci, tutti insieme, indistintamente.

Chiunque ami il teatro, la danza, lo spettacolo dal vivo in generale, si ritrova sempre a celebrare la bellezza e l’importanza della relazione con l’altro da sé, come fondativa dell’evento performativo. Come è possibile scontrarsi con la diversità dell’altro, fino ad abbracciarla e farla propria, senza riscoprirci noi stessi meticci, a nostra volta diversi agli occhi degli altri? Per noi della RE.M. non è una questione di razza o di origini: l’essere umano in quanto tale non può in alcun modo evitare di essere meticcio, di riconoscersi diverso, oltre che dai propri simili, persino da sé stesso alle volte, e questo perché in lui abitano e abiteranno sempre più anime e voci, ognuna con una propria storia, ognuna riconducibile ad altrettante anime e voci, vissute chissà quando e chissà dove in chissà quale altro essere umano. A pochi giorni dalla presentazione ufficiale della terza enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco, parole come queste mi sembrano ancor più rilevanti: per sconfiggere quello che il vescovo di Roma ha definito “il virus dell’individualismo radicale”, occorrono fratellanza, carità, e gentilezza. Prendere atto ognuno della propria natura meticcia – attraverso l’evento teatrale nel nostro caso, ma in generale in qualsiasi occasione di interazione sociale – può essere un primo significativo passo sulla strada del progresso sociale suggerito da Bergoglio. Questo è stato per me partecipare al Festival di Attraversamenti multipli.

Alessia Passalacqua – Lucrezia Odino – Matteo Polimanti

Foto © Lucrezia Odino