#YOUNGBOARD – Dominio Pubblico sbircia dentro Fondamenta: Percorso 3 con Lucia Calamaro

Abbiamo fatto il tampone ieri, mercoledì 28 marzo. Il il mio primo tampone dall’inizio della pandemia. Quasi mi vergogno ad ammetterlo, non lo avevo mai fatto. Il primo non si scorda mai. Mi sento come un bambino che va a fare le analisi del sangue e ha paura dell’ago. In realtà ho ancora paura delle analisi… niente, il paragone non regge. Comunque, negativo. Il tampone intendo. Tutti negativi, possiamo iniziare.

Mi siedo sulle poltrone della sala B del Teatro India.

Foto di Clara Lolletti

Sul palco i tavoli sono disposti a ferro di cavallo, uno per ogni partecipante. I partecipanti al percorso di Fondamenta condotto da Lucia Calamaro sono 15. Davanti a me ho 15 giovani autori-attori e autrici-attrici professionisti; mi sento piccola e spaesata, un po’ la mascotte di turno.

– Avete cinque minuti per pensare a un gesto che vi renda indimenticabili e che ci faccia ricordare di voi e del vostro nome.
Terminati i cinque minuti uno alla volta occupa la sedia al centro del palco e si presenta con il suo gesto.

Iniziamo così, dalle presentazioni.

Io seduta in platea, ogni tanto li guardo passare per andare in bagno o per sgranchirsi le gambe e penso: «Oh, quello è Luca, quella è Chiara, quello è Andrea!». Le presentazioni hanno funzionato.

Mi trovo qui, tamponata, “mascherinata” e distanziata, nella sala B del Teatro India, per assistere a questo percorso da uditrice. È quello che mi riesce meglio: ascoltare e guardare. Sono a tutti gli effetti una spettatrice. E sento di volerlo e doverlo sottolineare; soprattutto in un periodo in cui ci è stato difficile esercitare il nostro diritto da spettatori. Da quanto non andiamo a teatro? Da quanto non assistiamo ad una prova, ad uno spettacolo in presenza? Per me essere qui, oggi, è un privilegio. È un privilegio poter partecipare dal vivo ad un processo creativo, ad un’azione, ad un fare.

Questo percorso di Fondamenta è rivolto soprattutto a coloro che scrivono, a chi aspira ad essere autore, a chi autore già lo è. È un confronto con e tra professionisti. Ed io che c’entro? Mi chiedo. Ma diamo per assunto il fatto che ci sia anche io. Sono il grande fratello, l’occhio esterno che guarda. Lucia Calamaro, Lucia Mascino e Silvia Gallerano condurranno le varie sessioni di lavoro in queste tre giornate di fine marzo e forniranno ai partecipanti vari spunti di riflessione.

Si respira in questa sala un’energia particolare. È tutto così vivo, elettrico, profondo. È bello stare insieme e ancora più bello è stare in presenza adesso, dopo un anno di Zoom e Google Meet.

Dopo le sopradette presentazioni, un po’ di convenevoli e qualche parola sulla modalità di svolgimento di questo terzo percorso di Fondamenta. Lucia Calamaro ha già assegnato ai partecipanti un ‘’compito per casa’’ sull’esprit d’escalier di Diderot. Vi rimando ad internet per scoprire cosa sia l’esprit d’escalier (o esprit de l’escalier) – tanto internet sappiamo tutti utilizzarlo –  comunque vi anticipo che è l’attimo mancato, la risposta giusta ad una provocazione che però ti viene solo quando già sei ‘’per le scale’’, pronto ad andartene via. È capitato a tutti; e in questo caso è capitato anche ai personaggi inventati dai partecipanti. A uno a uno i presenti leggono i testi che hanno scritto per l’occasione. Loro ‘’si vestono del pezzo’’, Lucia prende appunti, io ascolto. Terminata la lettura –  dove scappi, vieni qua! –  li fa sedere e inizia ad analizzare quanto scritto e a consigliarli. Adesso come puoi andare avanti? Di cosa vuoi parlare?

È interessante ascoltarli leggere. Così nudi, in scena, senza appigli, soli con le loro parole. Ho capito che un testo deve mettere lo spettatore nella condizione di vedere con le orecchie. Senza regia, senza costumi, senza nulla, lo spettatore deve poter vedere. E insieme siamo arrivati alla conclusione che il foglio regge qualsiasi cosa, qualsiasi parola, l’ascolto no. L’ascolto tradisce ciò che non funziona. E questo è in realtà un bene perché con la lettura ad alta voce e con un ascoltatore esterno si può capire dove intervenire e cosa correggere.

Lucia ha detto che il mestiere dell’autore in realtà non è scrivere, ma riscrivere. Avere il coraggio di buttare e buttare. Buttare più di quanto si scrive. Rileggi e butta. E poi riscrivi.

E poi non serve scrivere se non si ha nulla da dire. Ma per fortuna in questi ragazzi e ragazze si percepisce una vera necessità di parlare, di condividere e di esprimersi. Hanno molto da dire e da raccontare, si vogliono esporre.


Di che volete parlare? Cosa vi piace ascoltare? Cosa ci interessa quando andiamo a teatro? Quale è la vostra specificità? Cosa potete raccontare che sapete solo voi e che nessun altro può raccontare al posto vostro? Sono tutti interrogativi che iniziano ad uscire dalla sala e che portiamo a casa per rifletterci su. Loro li portano nelle loro stanze per produrre qualcosa di nuovo, io li tengo con me perché non si sa mai, possono sempre far comodo.

Nel frattempo ci penso. A me piace chi parla sincero, chi non finge. Chi racconta storie. Chi trascende se stesso e aggancia qualcosa di universale. Mi piace chi si ricorda di scrivere non solo per sé ma anche per gli altri.

In fondo è un grande atto d’amore scrivere per qualcuno, lo dice anche Lucia. Risiede qui la proprietà transitiva del teatro, nel lavorare per lo spettatore. Perché non si può far finta che non ci sia.
– Fammi vedere qualcosa che non è te e non è me, ma è un incontro tra me e te.

Insomma questo spettatore è una figura imprescindibile. E mi invitano anche a raggiungerli dalla platea sul palco per dire la mia. Ecco l’incontro. Ecco che da piccola e spaesata mi sento… ancora più piccola e spaesata.  Però dai, non abbiamo poi così tanti anni di differenza. Mi siedo tra loro, anzi, ci sediamo tra loro, perché con me, come uditrice, c’è anche Sabrina, che sta svolgendo una ricerca per l’Università. Parliamo.

Con Lucia Mascino e Silvia Gallerano i partecipanti hanno modo di lavorare più sul corpo, da troppi mesi mummificato su sedie davanti agli schermi, e sull’interpretazione, alla ricerca anche di un linguaggio diverso da quello verbale. Tutti i presenti oltre che autori sono infatti anche attori. E non devono dimenticarlo. Ogni volta che calcano il palco devono ricordare di portare con sé tutto il bagaglio di esperienze e di conoscenze, sia per ‘’sopravvivere’’ alla scena, sia per creare sulla scena. Io li osservo lavorare, li osservo cercare e creare.

Giocano con la palla, improvvisano, parlano sul metronomo, ripetono la stessa battuta dell’altro, provano più volte. Il mestiere dell’attore, un continuo esercizio:
– Non scordatevi mai del perché avete iniziato.

Foto di Clara Lolletti

Io non mi annoio affatto. Sarà che sono brava ad ascoltare, sarà che mi mancava respirare aria di teatro e di sala, sarà che la mascherina non mi dà più fastidio, sarà che mi piace scambiare chiacchiere con i partecipanti, dire la mia e sentire la loro, sarà che il pranzo all’aria aperta con vista Gazometro e con il sole di marzo mi dà energia, sarà che stacco il telefono e esco dal mondo per un po’, sarà che è un’occasione più unica che rara trovarmi a contatto con tutti questi professionisti del settore. Sarà, anzi è.

Ogni giornata si conclude con un applauso, liberatorio. Un ringraziamento alle tre professioniste che mettono a disposizione le loro tecniche e la loro cultura e uno rivolto anche a sé stessi, per il coraggio di prestarsi a questo ‘’gioco fatto seriamente’’.

C’è un gran bisogno di applausi, si percepisce.

Anziché tre giorni mi sembra ne siano passati dieci, in senso positivo ovviamente. Forse per via della full immersion, o forse perché sento di aver imparato tanto. Si è creata una sorta di micro quotidianità nella quotidianità, per tre giorni. Ci salutiamo, ovviamente, con un applauso. A presto! Spero di rivedere tutti a teatro.  Non ho nulla di meglio da aggiungere.

 

Clara Lolletti

Foto © Claudia Pajewski