Ottantanove di Frosini / Timpano: abbozzare la rivoluzione

Articolo e illustrazioni di Giulia Macrì

La libertà che guida il popolo: il tricolore francese e il popolo sulle barricate, come illustrato nel celebre quadro di Eugène Delacroix. Era il 1789: la Révolution, vive la France!

Si parte proprio da qui: ha inizio lo spettacolo Ottantanove della compagnia Frosini/Timpano, storico duo romano che questa volta si è fatto accompagnare in scena dall’attore Marco Cavalcoli.

 

Noi, nuova generazione  #nopresent di Dominio Pubblico, la sera del 19 novembre al Teatro India abbiamo l’occasione di incontrarli tutti e tre, poco prima di vedere il loro lavoro: facciamo domande, conosciamo i retroscena, le curiosità e le riflessioni legate allo spettacolo e alla loro visione del teatro.

In realtà, ancora prima di incontrare Elvira, Daniele e Marco, ci eravamo già fatti suggestionare dal titolo, provando a trovare dei parallelismi tra diversi eventi storici. Ottantanove è infatti un numero che, associato al concetto di rivoluzione, fa subito pensare a quella francese di fine Settecento, ma non solo: immediato è anche il riferimento alla caduta del Muro di Berlino, nel 19Ottantanove, con la successiva disgregazione dell’Unione Sovietica. Lo spettacolo stesso cerca di tracciare una traiettoria comune fra queste ed altre storiche rivoluzioni del mondo occidentale, dalla riforma protestante al Sessantotto, passando per la rivoluzione proletaria di stampo marxista.

Abbiamo allora provato a fare anche noi un piccolo passo in avanti in questa direzione, cercando di mettere in contatto quel – lontano? – 1989 al nostro 2021, ormai giunto al termine. È stato sorprendente e avvilente allo stesso tempo constatare come la storia, infine e di nuovo, si ripeta.

1989: ritiro dell’esercito sovietico dall’Afghanistan
2021: ritiro dell’esercito americano dall’Afghanistan, che cade in mano ai talebani

1989: proteste di piazza Tienanmen
2021: proseguono le tensioni fra la Cina e Hong Kong, con conseguenti violenze sui civili

Controllo e potere: oggi come allora si erigono muri, sia fisici che metaforici, aumentando le divisioni, limitando le libertà. È ancora possibile fare la rivoluzione? Se sì, ha ancora senso farne una? Qual è il muro che vogliamo abbattere?

Nel ‘700 si scendeva nelle piazze per ciò in cui si credeva, oggi abbiamo diversi e molteplici mezzi per comunicare, creando reti di solidarietà a livello globale: diversi modi di fare la rivoluzione, anche solo rimanendo davanti a uno schermo.

1989: nascita del World Wild Web (www)
2021: Mark Zuckerberg lancia il Metaverso 

C’è un grande bisogno di cambiamento, ma non sappiamo bene che direzione esatta dobbiamo prendere. Si va da qualche parte, ma non si sa bene dove, e soprattutto come. Il momento storico con meno chiarezza di sempre, con mille stimoli esterni ma nessuna guida. Qual è il piano? Non ce n’è uno probabilmente, ci dice Elvira Frosini durante l’incontro.

L’intento dello spettacolo è quello di porre domande più che dare risposte, offrire una narrazione che coinvolga lo spettatore e lo stimoli a una riflessione critica sul proprio presente. Questo meccanismo è sintomo di pensiero attivo e consapevole, per abbattere i muri che abbiamo eretto innanzitutto dentro di noi; senza paura, ma con sguardo lucido e vigile, verso un futuro di cambiamento, di innovazione, libertà e fratellanza; non subìta, ma cogestita.

«Cambiare a piccoli passi, poco poco, piano piano», con cautela, altrimenti si finisce come Marat, vittima delle conseguenze più estreme dell’eroismo; ci ricorda la compagnia durante lo spettacolo.

 

 

Libertè, egalitè, fraternitè!

Il prendere parte, lo schierarsi, il fare politica, sono temi che ricorrono anche oggi. Fare teatro è politica, il teatro è politico.

Lo spettacolo diventa allora un invito a non imbalsamarci nel ricordo di un’epoca che si muoveva eccome, un monito a non adagiarci sul peso della storia che ci ha preceduto, e sugli effetti che ha avuto su di noi. Uno spettacolo pieno di dati storici e note critiche, un bombardamento di informazioni che potrebbe risultare disturbante, ma in fondo: come rappresentare meglio il caos nel quale siamo catapultati oggi, quando parliamo di libertà, uguaglianza, diritti? 

Forse la rivoluzione è già iniziata e non ce ne siamo nemmeno accorti. Forse il primo passo per renderla concreta è provare ad ammetterne anche solo la remota possibilità, o ancora meglio: denunciare il presente in cui viviamo, un presente senza prospettive, senza futuro.

Nel nostro piccolo, noi oggi ci sentiamo mossi dall’esigenza di fare la nostra parte, uniti sotto lo stesso ideale: smettere di essere una generazione #nopresent, attivarci nella creazione del nostro domani. Come fare? Lo scopriremo man mano, intanto cominciamo ad abbozzare la nostra rivoluzione.