“Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?” chiedevano Totò e Peppino nel ’56. Questa domanda apparentemente confusa risuona particolarmente mentre penso alle riflessioni sul futuro del teatro emerse durante la IX Edizione del festival Direction Under 30. Come Totò e Peppino, noi artistə e giovani che vogliamo fare arte, ci chiediamo come arrivare a destinazione, ma senza una meta ben definita. Ci interroghiamo su quale sia la direzione che stiamo dando al teatro della nostra generazione e qual è quella che gli vogliamo dare, ma siamo in una fase di piena esplorazione.
Dal 22 al 24 luglio, insieme ad altri due membri della squadra Senza Titolo di Dominio Pubblico, abbiamo abitato il Teatro Sociale Gualtieri durante il festival Direction Under 30, seconda tappa del #DpInTour. Qui abbiamo fatto parte della Giuria Popolare del festival e abbiamo potuto immergerci in 3 giornate di confronto e riflessione su progetti teatrali proposti da compagnie under 30.
Per introdurre l’articolo non potevo che cominciare con una serie di domande, che sono tra quelle che ci siamo ribalzatə l’un l’altrə durante le discussioni. Chiaramente sono domande faziose: non esiste una direzione, ma un fascio di rette che si dipanano dallo stesso punto e si allontanano sempre di più esplorando soluzioni diverse.
Questa diversità di soluzioni e di sguardi è emersa con grande forza dalla selezione proposta dalla direzione artistica partecipata. Il palco è stato abitato da spettacoli che giocano con nuovi linguaggi tanto da sfidare i limiti della definizione di “teatro”. Da un lato progetti che coinvolgono il pubblico al punto che esso diventa non solo parte integrante dello spettacolo, ma un elemento essenziale dello stesso; dall’altro una contaminazione di generi e forme che riescono ad attrarre o respingere chi guarda a seconda delle sensibilità. Siamo arrivatə persino a chiederci se può essere possibile un teatro senza attori/attrici in scena.
Un teatro sperimentale, quindi? Il gusto del “famolo strano” per amore dell’avanguardia? Sicuramente, nel ciclico gioco delle parti “gioventù vs convenzioni”, anche nella nostra generazione c’è una grande voglia di giocare con i limiti ma, tra le ingenuità su cui inevitabilmente si scivola per inesperienza, c’è anche una ricerca di coerenza. Una domanda che è emersa durante la discussione del sabato sera è stata “che cos’è il teatro generazionale?”. È la presenza di riferimenti culturali che può cogliere solo la nostra generazione? E se sì, come può invecchiare un teatro del genere? È la capacità di intercettare un’urgenza che ci opprime e di parlarne trascendendo la ristrettezza del qui e ora?
Ancora una volta, forse non ci interessa trovare una risposta. Come ha cercato di spiegarci un amico della Giuria Popolare “il teatro non è quella cosa a forma di stella, che se provi a incastrarci dentro una cosa quadrata, allora non ci entra e non è teatro. Il teatro è una cosa più ampia.” Il teatro è una cosa più ampia e ci dimostra di avere confini molto flessibili che si adattano a nuove forme per parlare di nuovi temi.
Questi temi, nuovi, ricorrenti, scottanti, vecchi ma ancora attuali, sono stati al centro di calde discussioni della Giuria Popolare. E in questo senso ci siamo interrogatə sulla responsabilità che ha il teatro. In questi anni siamo costrettə a fare i conti con i nostri privilegi, con delle nuove e scomode battaglie che riguardano la nostra posizione nel mondo e nelle strutture di potere. In quest’ottica è impossibile non riconoscere agli spazi teatrali un ruolo chiave nel dare voce a diverse sensibilità e permettere ai corpi marginalizzati di autorappresentarsi.
Una responsabilità verso chi si è vistə a lungo negare la possibilità di narrarsi, ma anche verso chi quella narrazione la ascolta. Questo vuol dire che gli spettacoli devono avere una grande cura dei temi più brucianti della nostra contemporaneità, per non schiacciare l’urgenza su un piano di banalità, ma elevarla ad una profondità che può guidare il pubblico verso nuove scoperte, nuove riflessioni e nuovi immaginari.
L’ultimo polo di questa responsabilità è ancora il pubblico e l’attenzione che gli si deve rivolgere perché il teatro del futuro possa estendersi oltre la cerchia degli addetti ai lavori e smuovere nuove persone a farsi nuove domande.
Quindi? Quindi per andare dove vogliamo andare, dobbiamo andare in mille direzioni diverse, così da comporre un panorama teatrale ricco, variegato, sensibile, provocatorio e attuale che possa mettere continuamente in crisi i limiti del pensabile per ri-riempirli di senso e profondità.
Debora Troiani – redazione Dominio Pubblico