La critica e l’Arte

L’incontro di ieri, venerdì 13 luglio, con la critica di teatro e danza dell’Unità, Rossella Battisti, offre il destro ad una duplice riflessione: da un lato sul ruolo che la critica svolge rispetto all’Arte in generale, dall’altro sul destino dell’Arte nel tempo in cui tale ruolo viene a mancare.
Uno dei punti cruciali di cui si è discusso e da cui sembra più utile prendere l’avvio è il ruolo giocato dall’evoluzione dei mezzi di comunicazione nel passaggio «dall’era meccanica [quella, appunto, dei giornali], all’era elettronica [quella dei pc e, soprattutto, degli smartphone]». Si è notato, giustamente, che nell’era meccanica, in cui il media maggiormente diffuso era il giornale, il successo di uno spettacolo presso il pubblico era, in linea di principio, fortemente influenzabile dal giudizio degli “esperti”, i critici appunto, in quanto l’acquisto del giornale presupponeva una certa fiducia riposta dal lettore nel parere autorevole del critico. L’era digitale, dal canto suo, con la capillarizzazione estrema raggiunta grazie alla diffusione di dispositivi che ci accompagnano perfino e soprattutto in momenti “privatissimi”, ha reso e rende sempre più obsoleto il mezzo principe dell’era meccanica, il giornale.

Poco male, si direbbe, se non fosse che questo cambiamento non è semplicemente un avvicendamento di mezzi, ma determina un radicale mutamento nell’approccio del pubblico all’Arte stessa. L’enorme quantità di informazioni disponibile in ogni momento (senza voler affrontare ora la questione della spersonalizzante “personalizzazione dei contenuti”, vanto dei cosiddetti colossi del web), fa sì che la voce di quei superstiti che, lentamente e con la fatica del lavoro, cercano di offrire una lettura il più possibile oggettiva dell’opera, si smarrisca e diventi un flebile lamento di moribondi in mezzo al mare magnum di vigorosi egotici smaniosi di sbandierare la propria personalissima opinione ai quattro venti. Il pubblico non cerca più un parere autorevole o più semplicemente affidabile, dal momento che sono le centinaia di pareri dei più disparati a raggiungerlo direttamente mentre è comodamente seduto in una stanza in cui è solo e, presumibilmente, chiusa a chiave.

L’aspetto qualitativo dell’informazione, al quale erano preposti il lavoro e lo studio meticoloso del critico, ha ceduto il passo al demagogico, e non democratico, aspetto quantitativo. Inoltre, tempestati in ogni momento da informazioni più o meno attendibili e quasi mai autorevoli, perdiamo il senso della ricerca, dell’interesse, dell’impegno. Il pubblico non è più educato, è eccitato da una quantità impressionante di stimoli. Non svolge più alcuna funzione attiva nella propria formazione. Tutto ciò comporta anche l’appiattimento del gusto: tanto più un certo oggetto è piaciuto, quanto più piace; e il suo successo cresce a dismisura fino a diventare uno dei tanti “fenomeni del momento”. Del momento, appunto, perché non avendo investito nulla di nostro, di personale, nella scoperta dell’opera, siamo pronti a dimenticarla con rapidità imbarazzante, non appena un nuovo fenomeno ci faccia gridare al miracolo.
Detto questo, veniamo a discutere di quali siano i rischi che l’Arte corre col venire meno del ruolo della critica. Evidentemente l’assenza del giudizio qualitativo renderà l’aspetto quantitativo l’unico metro in base a cui misurare il valore di un’opera. Realizzazione del peggiore incubo di ogni artista degno di tal nome (oltremodo inflazionato): il valore di un’opera è determinato esclusivamente dal successo che riscuote presso il pubblico. Tanto per citare un caso qualsiasi, fra i tanti rimpianti, ricordiamo che in tutta la sua vita Van Gogh vendette un solo quadro. Ad una vecchia zia. E tanto basti all’argomento.

Se l'”artista” fonda la propria “arte” sul gusto del pubblico e, dal canto suo, il pubblico non fonda il proprio gusto su nient’altro che sé stesso, sul piacere narcisistico, dunque inconsapevole, che prova nel vedersi rappresentato, qual è il destino dell’arte? Se viene meno il terzo membro del rapporto, quello che apre il dialogo tra l’opera nuova e la Storia dell’Arte; quello che nel collocare l’opera in un contesto preciso aiuta a riconoscerne l’effettiva originalità; se tutto questo viene meno, esiste una reale possibilità per l’Arte di superarsi, di andare oltre sé stessa o, in altri termini, di progredire? Tutta l’Arte è destinata a diventare Pop, nel senso meno nobile del termine, laddove il senso nobile sarebbe quello di un’arte che captando alcuni contenuti, apprezzabili da un pubblico meno numeroso e più specializzato, applica i propri mezzi per appropriarsi di quei contenuti e tradurli in un linguaggio più universale? Lasciamo aperte queste domande, per concederci il lusso abbandonato di continuare a riflettere.

Mi limito a sottolineare, per concludere, che la duplice funzione della critica, quella cioè di mettere l’Arte in relazione con sé stessa, attraverso la Storia dell’Arte, da un lato, e quella di mettere il pubblico in relazione con sé stesso attraverso la costruzione di un’identità culturale, dall’altro, è un ruolo fondamentale alla sopravvivenza dell’Arte stessa come oggetto autonomo rispetto al valore commerciale e all’uso propagandistico.

 

Fabio Cosmai
Ph Marika Ruta
 

DAL 13 AL 21 LUGLIO 2018
KILOWATT FESTIVAL – SANSEPOLCRO (Arezzo)
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