“Fuoco cammina con me”: Due giorni nella “loggia” del teatro contemporaneo

Da Kilowatt Festival – 21 e 22 luglio 2022 – Cortona, (AR) Toscana 

Anno 2022. Ritorno a Kilowatt Festival. Edizione XX. Mi viene da sorridere ma nel corso degli ultimi nove anni, da quando è nato Dominio Pubblico e da quando i giovani spettatori/operatori/artisti, che prendono parte ai nostri percorsi di formazione, hanno iniziato a scrivere le loro esperienze in giro per i festival italiani, non ho mai scritto nulla per il blog, considerandolo uno spazio sacro, riservato ai giovani Under 25 e al loro sguardo sul mondo.

Eppure in questa occasione mi sento chiamato in causa e mi fa piacere dare il mio contributo per raccontare un pezzetto di questa estate 2022 che inaugura il #DPintour, un format ideato per permettere ai partecipanti del progetto romano di esplorare altre realtà in giro per l’Italia e scambiare esperienze con altri spettatori attivi. Curiosità e cronaca: il #DPintour prende vita proprio qui, al Kilowatt Festival a Sansepolcro, nel 2019. L’occasione che tre anni dopo mi spinge a raccontare tutto questo è proprio “Fuoco cammina con me”, un seminario internazionale ideato dai direttori Ricci e Franchi di Kilowatt Festival e curato dallo studioso Rodolfo Sacchettini, per indagare la storia e il boom dei festival in Italia nel decennio 2010-2020. Tra i temi caldi di questi due giorni pubblico, accessibilità e partecipazione sono state tra le parole maggiormente usate.

Entrando nel chiostro di Sant’Agostino a Cortona, una città per me ancora del tutto nuova, ho sentito una piccola stretta allo stomaco nel vedere lo spazio pieno di facce amiche e conosciute. Ho pensato immediatamente “Cavolo, siamo tutti qua!”. Questa sensazione non è nuova ad un operatore teatrale italiano: il nostro è un paese piccolo ma molto vivace e la sorprendente moltiplicazione dei festival nasce proprio dalle sperimentazione di formule culturali nate all’interno dei vari territori e delle province italiane tra la fine degli anni 70 e l’inizio del nuovo millennio. Questa sperimentazione è stata uno dei temi di lavoro trattati nell’ultima giornata nel panel coordinato da Francesco Brusa (Altre Velocità) e Francesca Saturnino (Doppiozero), con ospiti eccellenti come Dino Somadossi che narrava le gesta incredibili di Fies Factory One a Drodesera, nella centrale elettrica rigenerata per le arti più famosa in Italia (e nel mondo!).  

Questo annoso processo ha fatto sì che in questa decade il numero delle iniziative territoriali sul tessuto nazionale fosse raddoppiato, grazie anche ad una spinta politica, non sempre così onesta nel ricercare la formula perfetta per bilanciare  comunità, arte e cultura (ma di questo parleremo meglio in un altro contesto). Questa disseminazione ha stimolato addirittura la nascita dell’associazione Trova Festival, coordinata da Oliviero Ponte di Pino, che si è impegnata negli ultimi anni in una scrupolosa mappatura e nella creazione della prima guida Italiana ai Festival, dove sono raccolte oltre 350 differenti esperienze (In giro per festival. Guida nomade agli eventi culturali,  Giulia Alonzo e Oliviero Ponte di Pino, Altreconomia, 2022)

Una delle parole evidenziate dal convegno come “pericolose” è stata proprio comunità: i teatranti ne sono spaventati perché la riconoscono come una parola che li riguarda da vicino e che nel corso degli ultimi anni è stata decisamente abusata, da loro stessi e dalle istituzioni. Per anni infatti è stata celebrata come uno degli obiettivi essenziali da raggiungere attraverso lo sviluppo di politiche culturali per lo sviluppo del territorio: riconnettere la comunità attraverso l’arte e la cultura; ricucire il tessuto sociale grazie ad azioni di partecipazione e comunitarie; ingaggiare la comunità e rafforzare il territorio (dal glossario delle keyword europee: community engagement e empowerment, tanto care all’Europa Creativa). 

Le controindicazioni di questa spinta fin troppo entusiastica? Giungere in un paesino sperduto tra i dolci colli della Toscana, entrare nella penombra di un chiostro che già evoca gli effetti corroboranti dell’otium e della recherche della conoscenza perduta e… scoprire che conosci già tutti i presenti! Con una sensazione mista a nostalgia, ansietta e gioviale entusiasmo. Sensazioni belle e piacevoli ma che ti mettono anche in guardia su quello strano stato emotivo che chiameremo “effetto festa delle medie”.

Improvvisamente scopro che sono passati dieci anni. Che siamo tutti più vecchi. E che siamo lì per ricordare un po’ i tempi andati e un po’ per fare il bilancio su quello che è stato fatto. Penso anche sinceramente che non ci sia davvero nulla di male in questo. È stato importante analizzare questo bilancio e scoprire, anche attraverso le parole di Donatella Ferrante, che per anni è stata dirigente dello spettacolo dal vivo all’interno del Ministero della Cultura, che quella che la comunità di teatranti ha saputo mettere in atto, nella recente storia del paese, è una rivoluzione gentile che ha incrementato realmente il pubblico e l’offerta culturale e che ha il merito di aver rinnovato le modalità delle istituzioni di guardare alla cultura come risorsa pubblica. 

Eppure nel tracciare i bilanci bisogna anche dotarsi del giusto cinismo, per analizzare i dati e constatare cosa non funziona. E questo, ancora una volta, ce lo fa capire Lorenzo Donati (Altre Velocità) nel panel dedicato al pubblico, che ha dato vita ad un gioco pericoloso prendendo spunto da alcune lettere scritte da spettatori e spettatrici alla comunità degli operatori teatrali, che lui stesso definisce la “loggia nera”.La loggia nera è quella strana terra di mezzo, evocata da David Lynch in “Twin Peaks”, dove una comunità di esseri maligni si organizza per influenzare la realtà. Senza entrare nel merito di questa scelta, vorrei concentrarmi sull’esito di questo gioco, che ha prodotto una serie di risposte a queste domande/accuse prodotte dal pubblico, divise in sei diversi tavoli, a cui noi operatori e direttori artistici siamo stati chiamati a rispondere. 

In particolare riporterò la risposta del tavolo di cui ho fatto parte, dove l’accusa riportata era la seguente: 

<Accusa dello spettatore: Ci avete considerati turisti, partecipanti a giochi di ruolo dove i margini di imprevisto sono pochissimi. Noi passavamo nelle piazze e vedevamo circoli di gente che danzava delimitati da transenne, cerchi di persone con le cuffie che correvano o ascoltavano, talk su argomenti legati al capitalismo nei festival (ma perché non li chiamate “dialoghi”?).

Potete o volete rimettere al centro noi spettatori, volete proporci cose complesse? Come pensate di farlo senza chiamarci a completare meccanismi di coinvolgimento, trasformandoci in “bravi partecipanti”?

Risposta dell’operatore: Noi proviamo – tentiamo – di trasmettere un’esperienza. È importante riuscire ad immaginarci lo spettatore che vorremmo coinvolgere. Non possiamo coinvolgervi conoscervi tutti/e, quindi non possiamo parlare a tutti/e. 
Ma possiamo creare diverse esperienze per diversi spettatori. Per diverse persone. Perché siamo persone anche noi e perché la nostra ricerca è partita sulla base delle nostre esperienze più forti e personali che il teatro ci ha donato.

Sarai tu -spettatore- a scegliere se partecipare e se metterti in gioco. Cambiare il tuo equilibrio, il tuo punto di vista sul mondo. Lo spettatore è sempre un elemento che fa attivamente parte dello spettacolo. Va ricercata dunque la qualità della relazione. Divertimento e/o coinvolgimento. È lo spettatore che sceglie. Ed è sempre attivo. 

Bisogna fare attenzione a non creare condizioni coercitive o forzate nei suoi confronti, o altrimenti, assumersi la responsabilità di questa scelta, dell’atto artistico.>

Mentre si svolgeva questa riflessione ho ricevuto una lettera dalla Direzione Artistica Under 25 che quest’anno ha preso parte alla IX edizione del Festival Dominio Pubblico – La città agli Under 25 e dove è stata descritta e riportata l’esperienza che hanno vissuto quest’anno. Sono stato molto felice di averla ricevuta  e di aver sentito il loro bisogno di crescita, di emancipazione e di voglia di potersi migliorare insieme. Ma soprattutto la rivendicazione di un maggior ascolto, di una maggiore attenzione al loro coinvolgimento nei processi. Di questo li ringrazio perché in questi (quasi) dieci anni di Dominio Pubblico, ognuno/a di loro mi ha insegnato qualcosa su me stesso e sul lavoro che faccio.

Spero sempre di essere stato lo stesso per loro: un incontro. Una persona che ha lasciato loro qualcosa lungo la strada che sarà utile per affrontare il resto del viaggio. Perché le parole che hanno veramente lasciato la loro impronta al termine di queste due intense giornate sono esperienza e relazione, estremamente interconnesse tra loro e che ci dicono molto sul mondo in cui viviamo Qualsiasi tipo di lavoro svolgiamo, soprattutto in campo artistico, ha a che fare con l’altro. Spesso la richiesta che ci arriva da uno spettatore, quanto da un artista, o da un critico, o da un operatore è di essere ascoltato e di dare spazio alla sua voce, alla sua presenza.

L’esperienza serve invece a rendere questo ascolto utile, non dannoso ma propositivo, in modo che la nostra esigenza di essere ascoltati, di farsi spazio, di potersi immergere in realtà esistenti abbia il giusto spazio e riceva il rispetto di tutte le persone che ci stanno intorno. 

Per questo comunità non è la parola giusta per questo momento storico. Rischia di creare uno spazio inadeguato, delle dimensioni ristrette dello stare insieme, dove vigono regole che -se non  conosciute da chi non frequenta quel gruppo di persone- potrebbero creare degli “stranieri”, degli esclusi. Potrebbe essere più inclusiva la parola collettività, come ha suggerito il critico Sergio Lo Gatto.

Queste nuove parole da cercare per definire lo stare insieme mi sembrano rappresentare la giusta motivazione per guardare avanti, ad un futuro ancora tutto da immaginare e da scrivere, a cui dare un titolo.  

Tiziano Panicidirezione Dominio Pubblico