Al Teatro Argentina di Roma viene portato in scena da Massimo Popolizio “Furore”, opera teatrale che ha la sua origine nell’omonimo romanzo scritto da John Steinbeck. La rappresentazione parte con un incipit che introduce la storia allo spettatore: vediamo quindi Popolizio che impersonando lo scrittore statunitense, batte sui tasti di una macchina da scrivere l’inchiesta per il San Francisco News sulla siccità e la conseguente recessione agricola, tale indagine sarà poi la base per il romanzo. Successivamente Popolizio si sposta verso un leggio al centro della scena, dal quale egli legge e racconta le diverse storie, suddivise per capitoli: la tempesta di sabbia che ricoprì di polvere i campi rendendoli sterili; la crisi economica e la banca, che viene descritta come un mostro, frutto dell’uomo ma da lui incontrollabile; i proprietari terrieri che cacciano i mezzadri per sostituirli con dei trattori e la conseguente migrazione dei mezzadri e delle loro famiglie verso Ovest con le difficoltà che trovarono attraversando la Route 66 dall’Oklahoma alla California.
La scenografia risulta semplice ma articolata in modo tale da creare un rapporto spaziale e rappresentativo efficace. Alle spalle dell’attore scorrono ininterrottamente foto e filmati in dissolvenza che mostrano gli avvenimenti raccontati, oltre al suo volto ripreso da una telecamerina accanto “al leggio”. La musica dal vivo e soprattutto il ritmo, che scandisce la narrazione incalzandola finanche a diventare a volte protagonista anch’essa sono prodotti dal polistrumentista Giovanni Lo Cascio. Ciò rende i racconti ancora più suggestivi ed immersivi. Lo spettatore quindi si trova di fronte ad una congiunzione di linguaggi: Parola, Musica e Immagini. La parola “polvere” ritorna spesso durante tutta la rappresentazione: la polvere che ricopre i raccolti e le case, persino gli abiti indossati che diventano stracci, la polvere che giorno dopo giorno si posa sulle macchine ferme, ammassate lungo la strada in mezzo al deserto, un cimitero di macchine, “cadaveri meccanici”, una vista desolante. Massimo Popolizio qui non veste solamente la parte dello storyteller, va oltre, infonde voce e anima alle immagini degli uomini e delle donne che appaiono sullo schermo. Accende ogni piccola sfumatura di quelle storie rivelando con sensibilità ed espressività i recessi del cuore umano, la disperazione di coloro che un tempo erano contadini e che si ritrovano ad inseguire un sogno come immigrati e poi la disillusione, il dolore ed infine il Furore che lacera l’anima ed emerge negli occhi degli affamati.
Silvia Fabbri – Redazione U25
Questo spettacolo è il connubio perfetto tra la bellezza evocativa delle parole di John Steinbeck e la capacità di Massimo Popolizio di guidarci in questo viaggio fatto di dolore, sofferenza, povertà e infine morte.
“Furore” ci conquista non solo perché riesce a riportarci alla sofferenza e alle vicissitudini che travolsero le vite dei braccianti duranti gli anni Trenta, ma soprattutto perché i mutamenti denunciati nel testo richiamano alle crisi climatiche, economiche e sociali che stiamo vivendo in questi anni.
Quest’opera racconta della Grande Depressione che travolse gli Stati Uniti nel 1929, paragonabile alla crisi economica e all’esasperazione delle tensioni sociali che stiamo vivendo; dei soprusi e delle ingiustizie subite da chi fuggiva dalla povertà, immagini drammaticamente attuali dell’indifferenza e della violenza patite da chi scappa ai giorni nostri da realtà di guerra, sofferenza e miseria.
Aldilà di come vengano affrontati gli inestricabili legami tra la condizione umana e i processi storici e sociali che si susseguono, un aspetto peculiare risulta sicuramente essere l’attenzione riposta nel rapporto tra l’essere umano e l’ambiente.
La tragica vicenda raccontata in Furore porta sicuramente a riflettere su come i cambiamenti climatici abbiano influenzato e tutt’ora condizionino la vita dell’essere umano, e di come le nostre scelte a loro volta, determinano delle conseguenze sull’ambiente.
Le tempeste di sabbia e i campi aridi, ci ricordano del caldo anomalo, degli incendi boschivi e di come l’estate passata sia stata la più arida degli ultimi 500 anni; mentre le alluvioni riportano alla mente le piogge torrenziali e le frane sempre più frequenti, causa di numerose morti l’anno.
A favore di questi temi, attualissimi e al centro della discussione politica, il 16 dicembre in Sala Squarzina si è tenuto un talk pubblico Dall’America con “Furore”. Migrazioni climatiche dal 1930 a oggi, dedicato a contestualizzare il lavoro di Steinbeck rispetto alle problematiche climatiche che stanno attualmente colpendo il nostro pianeta.
Barbara Berardi – Redazione U25
L’incontro è stato organizzato da Dominio Pubblico e dallo Youth Council dell’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia e ha coinvolto due relatrici. La prima è Aurora Galassi, studentessa di American Studies all’Università degli Studi Roma Tre e membro dello Youth Council, che ha condotto i presenti nella comprensione del contesto in cui Steinbeck scrisse le parole di “Furore”, indagandone i motivi, mentre la seconda è Federica Gasbarro, attivista contro i cambiamenti climatici e rappresentante dei giovani italiani ai negoziati sul clima delle Nazioni Unite, che è riuscitaa illustrare con competenza e semplicità l’attualità del dramma legato al cambiamento climatico e allo stesso tempo a regalarci una prospettiva positiva e una speranza per quel futuro che sentiamo troppo spesso come una scommessa già persa.
Debora Troiani – Redazione U25