La scalata di Avalanche

Scena bianca, asettica,luci fredde. Un uomo ed una donna con tute che ricordano operai e che si muovono nello spazio come astronauti. Iniziano a muoversi lentamente, penetrano lo spettatore con sguardi fermi, gesti impercettibili sussurrando parole incomprensibili in lingue diverse. Cosa stanno facendo mi domando, me  lo  domando  perché questa impercettibilita’ questa lentezza dura più di venti minuti e ho voglia di sentire una bella musica elettronica che pompa nelle casse  e che abbraccia l’adattissimo spazio minimal dove si muovono i due performer.

Ci starebbe benissimo. E invece no. Aspetto, aspetto, aspetto e i due performer continuano a nuotare nella loro lentezza e a pronunciare parole sconnesse tra di loro. Ti prego musica inizia, inizia e portami in atmosfere emozionali con i corpi che ti seguono ,che animano questa asettica scena da oltre trenta minuti ormai. Niente. La musica non c’è. Solo un leggero tappeto sonoro. I due corpi ora iniziano a muoversi e a parlare più velocemente, iniziano a sudare a delirare, dalle loro bocche escono nomi di persone, canzoni pop, istruzioni di viaggi aerei. Sudano, respirano forte ,vomitano parole in lingue diverse e io non capisco cosa sta succedendo. Forse voglio che finisca presto, che finisca adesso, ma loro continuano a sudare , danzare, parlare. E la musica niente. Neanche un accenno di cassa di cui avrei bisogno.

Ma ecco ,dopo lunghi cinquanta minuti ,che i due corpi si fermano, si inginocchiano, la loro voce ora si appoggia sulla calma, quella calma che arriva improvvisa, ma necessaria. Quella calma che ti fa venire la lacrime perché ne avevi bisogno. Adesso la performer chiede al suo compagno di scena cosa ha visto, lui le risponde che ha visto la mamma di Gianluca,una regina, una bottiglia vuota, lei invece ha visto dei cavalli e anche lei ,come lui, una regina. Respirano piano e continuano a dirsi cosa hanno visto. Ora il mio sguardo è fermo su di loro, non ho più bisogno della musica, non mi importa. La loro calma, il loro respiro, la fine del loro viaggio mi tengono incollata alla scena, è tutta la mia attesa ed impazienza svanisce per far posto a quel momento pulito e sincero , a quel punto d’arrivo, al pezzo di mare tanto desiderato dopo la lunga camminata tra le rocce.  E così respiro piano che loro e voglio restare qui , ferma. Bisogna attendere per vedere la bellezza.

Grazie Marco D’Agostin per questo tuo spettacolo  e grazie Kilowatt Festival. 

Barbara Petti

foto di Roberta Segata

DAL 13 AL 21 LUGLIO 2018
KILOWATT FESTIVAL – SANSEPOLCRO (Arezzo)
L’energia della scena contemporanea
DIVERSI PERCHÉ UMANI