Viene quasi spontaneo, qui a Sansepolcro, dopo pochi giorni di festival, date le diversissime esperienze che caratterizzano Kilowatt, domandarsi sulla natura dello spazio scenico, non tanto per aprire zone problematiche, quanto per condividere con voi alcune considerazioni. Che caratteristiche ha uno spazio teatrale? Che cosa giustifica la posposizione dell’aggettivo al nome?
Ecco, stando alla mia esperienza di lettore, spettatore e attore, lo spazio teatrale è qualcosa di estremamente mutevole, in grado di manifestarsi improvvisamente per poi svanire con la stessa rapidità, come un occhio che largo esterrefatto s’apri si chiuse nella notte nera. Volendo avvicinarsi ad una definizione più rigida (perdonatemi Pascoli), è uno spazio più o meno circoscritto (e più o meno precisamente identificabile in ogni sua manifestazione) che risponde, a differenza di uno spazio comune, a precise regole agite (quasi mai esplicitate) da colui o coloro che agiscono, ossia, per etimo, l’attore o gli attori. Queste regole delimitano le possibilità di movimento (nella sua accezione più ampia, essendo le regole dello spazio scenico regole agite) e allo stesso tempo costituiscono l’orizzonte entro il quale lo spazio teatrale stesso può manifestarsi e rendersi visibile allo spettatore (che, come ricorda P. Brook, è il terzo elemento dal quale non si può prescindere) ed essere riconosciuto, spesso senza consapevolezza attiva, come tale.
Sono regole che “normano” voce, gestualità, silenzi, ingressi e uscite dallo spazio e hanno, con buona pace di tutti, una caratteristica unica, che rende sublime l’arte che tanto ci piace: si trasformano continuamente in base alla relazione che si instaura con lo spettatore e gli altri attori, nell’hic et nunc della sua manifestazione. Caratteristica comune a tutte le arti; quando leggiamo un libro instauriamo lo stesso dialogo che è sempre diverso in relazione a ciò che siamo in quel momento. Rileggete lo stesso libro dopo cinque anni: se vi darà lo stesso dialogo, probabilmente è una delle vostre stelle fisse della letteratura. Ciò che rende unico lo scambio teatrale è la dimensione comunitaria dello scambio come momento in cui un gruppo di persone guardano qualcosa che conferma, rielabora, scardina o muta il proprio reticolato di credenze. Ed è anche in questo senso che il teatro è un’operazione sempre culturale. Il calcio, ad esempio è teatro. Quanto è diverso uno stadio da un teatro greco? Riuscite a riconoscere la narrazione che fanno di sé stessi i suoi attori? (Pensate a un Gattuso, o un Nedved, un Roberto Baggio) Sentite tremare le gambe quando si alza un coro? E per un concerto, si potrebbe dire la stessa cosa? E quando siete a cena con gli amici, e siete in ascolto di quello che succede, e riuscite a far ridere tutti anche solo spostando un tovagliolo, non siete voi attori e i vostri amici spettatori? E quando un professore fa una lezione che vi affascina all’Università, guardatelo bene, non sta forse adottando tecniche narrative, non sta modulando la voce, non sta forse modificando la nostra percezione dello spazio e del tempo agendo secondo determinate regole estrinsecantesi dalla natura del luogo, dello spazio e delle persone che partecipano? Non è da uno spazio del genere che noi libiamo il nettare della vita? Quanto è bello il teatro? Quanto è bello il teatro? Quanto è bello il teatro?
Ps. L’altra sera ho cenato da Arcangelo, il gestore del “Pubbone”, un tipo eccentrico da tutti conosciuto in città. Ci raggiunge al tavolo e dice: “Buonasera sono Arcangelo, vostro umile servitore, al vostro servizio”. Dico: “Arca’, stai a esagera’!”. Al che mi guarda, prende una pausa e fa: “Embé, che fai teatro solo te?”
Carlo Maria Fabrizi
DAL 13 AL 21 LUGLIO 2018
KILOWATT FESTIVAL – SANSEPOLCRO (Arezzo)
L’energia della scena contemporanea
DIVERSI PERCHÉ UMANI