#DPinTour2019: Kilowatt Festival / DAY #2

Kilowatt Festival – L’energia della scena contemporanea – diversi perché umani

#DAY2

Partecipare è normale perché siamo esseri umani. Basta compiere un gesto semplice per togliersi dai lati e condividere un invito. Il teatro è un buon posto da cui cominciare a rimettersi in gioco.” Lo staff di kilowatt

Il mattino ci si sveglia dal sogno.

Ma tutto ha ancora il sapore del sogno.

Apriamo gli occhi accompagnati dal “trutru” dei piccioni che alloggiano comodi sulle nostre finestre. Prepariamo i nostri caffè e riempiamo i cornetti di marmellata alle ciliegie. Sento un senso di trepidazione incontrollabile: oggi trambusta in me  l’appartenenza a un tema caro, fondamentale, forse il più importante di cui parlare, perché è proprio del parlare che si parla (mi perdonerete il gioco di parole!) Stamattina si parla di noi, con noi, delle parti più visibili del nostro organico, quegli agglomerati di lettere che usiamo per connetterci l’uno all’altro, il modo in cui ci autorappresentiamo: le parole, i nostri legami. Dibattiamo del dibattere e della metodologia che ognuno assume nel farlo. Il tutto nasce, come ogni cosa, da un pretesto che in questo caso si manifesta come una polemica sui social. Si decide di percorre la via più saggia, quella del riscatto della possibilità d’intenderci e del dialogo. È allora che, dalle ceneri di quell’altrimenti sterile dibattito virtuale, nasce la possibilità di un’esperienza generativa, un momento di pedagogia collettiva: Il linguaggio che siamo diventati, incontro aperto a tutti, dove tutti sono chiamati ad ascoltare e a parlare, a lascarsi guidare nella riflessione e ad esprimere la loro. Professori, sociologi, saggisti e ricercatori, personalità solide e ammirevoli, riconosciuti in diversi ambiti e discipline,  suscitano in me un ingenuo fascino che si traduce in orecchie attente alla captazione di ogni segnale ed occhi vispi e spalancati. Sono tutti qui (beh, certo, alcuni in video-conferenza, ma comunque qui!) per fare chiarezza, tentando di instillare in ognuno di noi una scintilla di consapevolezza che ci porti alla conscia rottura degli alti muri di pietra delle barriere linguistiche e allo sgretolamento dei taboo comunicativi.

Parliamo dell’inevitabile caduta libera che ognuno di noi esperimenta nel campo incontrollato del linguaggio di rete, le cui modalità di dialogo producono inevitabili e preconfezionati prototipi di opinionismo polarizzato, che troppo spesso scadono nella più totale deficienza comunicativa e nell’inaridimento dei concetti dogmatici alla base dell’opinione stessa.

Parliamo delle fragili condizioni di consuetudini ormai normalizzate come il precariato strutturale e l’intermittenza lavorativa, del possibile ripensamento e ridimensionamento collettivo delle stesse tramite modalità di dialogo e scambio online.

Parliamo, infine, della sempre più incalzante e crescente necessità di rinnovare l’immaginario e, di conseguenza, il codice linguistico legato alle questioni di genere, di come questo tipo di linguaggio si applichi anche alle realtà lavorative di stampo artistico. Quest’ultimo punto, in particolare, risulta di ampissimo respiro e porta a diverse ramificazioni della questione, all’attenta analisi di come il linguaggio sia strettamente e parallelamente interconnesso in maniera vicendevole alla soggettività e all’immaginario che, seppur articolandosi in una dimensione apparentemente intima, porta in sé strascichi e tracce di varie istanze dei nostri attuali e antichi retaggi culturali.

 

Appare naturale la formulazione di certe domande:

Come costruire relazione attraverso l’alterità e la differenza in una società virtuale in cui la forma di controllo pare essere il dissenso? Come comunicare con l’altro e in funzione dello scambio con l’altro, nonostante la comunicazione stessa sia per sua natura un fenomeno improbabile e fallibile, proprio perché così connesso alla matrice biologica più antica e solida della natura umana – il caos? Come accedere a un risultato comunicativo in rete, se la parola diviene vergine, nuda, cioè spogliata della sua matrice corporale e fisica?

Risposte? Magari no.

Crescita? Sempre, e nelle più disparate direzioni, verso orizzonti multipli.

La risoluzione non può essere cercata nella riposta, ma nella ricerca di tale risposta, nell’individualità e nella collettività, nel porsi le giuste domande nel giusto modo, nel dialogo, nel reciproco ascolto.

Strano e sempre sorprendente, di questi tempi, sentirsi paghi e sazi del “solo” dialogo, della scoperta di qualcosa in se stessi attraverso le parole che si scambiano con l’altro.

L’incontro finisce, ho bisogno di qualche momento per metabolizzare, per comprendere, per osservare; mi guardo attorno ed è come se in questo borgo silenzioso, nelle sue pietre e nei piccoli fascini, ritrovassi quel senso di comunicazione verso cui si è provato a tendere quest’oggi. Ai miei occhi c’è come un filtro d’incanto, l’animo è teso a lasciarsi ascoltare e ad ascoltare, a captare. Con questa quieta irrequietudine nel cuore, continuo la mia serata, tra spettacoli, danze e musica, incontri, parole, sguardi e soprattutto tanta passione tanto amore. Mangio con gli artisti, con i ragazzi dello staff, con gli amici di Festival passati, bevo qualcosa con loro. In maniera quasi inconscia, si mette collettivamente in pratica ciò che è suscitato dalle discussioni odierne: si scambiano resoconti di esperienze, sfuggevoli o tangibili speranze, buoni propositi e qualche sapida gag. Il giorno ci lascia tra le braccia di questa notte così viva, così piena.

Le risposte alle domande ancora non le abbiamo trovate, ma le stiamo cercando, tra di noi e dentro di noi, nel vento pigro delle serate estive, nelle gocce di splendore e di umanità, nell’altrove in cui siamo immersi.

Ma le sensazioni e le apparizioni di cui parlo, questo senso di appartenenza, ancora non trova posto nelle parole.

Grazie.

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono, spazio al chiuso