#DPinTour2019: Kilowatt Festival / DAY #10

Kilowatt Festival – L’energia della scena contemporanea – diversi perché umani

#DAY10

Mi sveglio lievemente stanca. L’effetto del caldo e delle giornate movimentate si fa sentire. E le premesse della giornata purtroppo non sono delle migliori, data la pioggia incombente. Ma non ci si ferma, quando c’è così tanta elettricità nell’aria. Ci si alza, ci si organizza, si trova una soluzione. Così funziona la macchina del Kilowatt, un meccanismo svizzero e preciso che non si blocca neanche davanti ai rischi e alle difficoltà.

La pioggia è solo acqua, e dall’acqua ci si può riparare. Punto.

Arrivo all’Ex Scuola Pacioli di corsa, con i vestiti bagnati e un po’ affannata, per assistere ad uno degli spettacoli che mi incuriosiva di più: La mia battaglia VR, un esperimento di teatro in realtà virtuale, con Elio Germano come protagonista. Ci si trova in un’aula di scuola, con due gruppi di sedie, disposte in fila una davanti all’altra. Su ogni sedia, un visore e un paio di cuffie. La proiezione prevedere un massimo di 20 spettatori per volta.

 

Una volta indossate le cuffie e gli accessori, ci si sposta in un altro posto, lo Spazio Tondelli di Riccione. Ci troviamo in prima fila, con Germano che cammina tra il pubblico e il proscenio. Non si capisce quale voglia essere il suo ruolo: un comico, un motivatore, un oratore. Qualunque sia la sua veste, quello che è certo è il suo scopo: manipolare. Egli smuove lo scontento popolare per modellarlo a suo piacimento, convince, quasi ipnotizza, passando dall’autorevolezza all’autorità. È quando parla di nazionalismo ed estremismo che comincio a farmi delle domande. C’è qualcosa che non va. E quel qualcosa mi è subito chiaro.

Arriva una schiera di ragazzi con una bandiera e sale sul palco, ai lati dell’attore, che si erge fiero su un piedistallo. Quando la bandiera viene srotolata, la realtà ci colpisce come un fulmine: è una bandiera rossa, con al centro uno cerchio bianco che contorna una svastica nera. La fama di quel simbolo la precede e che al quale non credo sia necessario aggiungere altro.

Lo spettacolo in sé è interessante senza ombra di dubbio, ma è l’esperimento mediatico che trovo d’eccezione. Non so dire se sia riuscito o meno, ma qualcosa di cui riflettere sicuramente me lo ha lasciato. E per ora credo possa bastare.

Successivamente, all’interno dell’atrio del Teatro della Misericordia, si svolge l’esito della masterclass per attori di Riccardo Caporossi, svoltosi durante le giornate del Festival. Cul de sac è una raccolta di frammenti di storie di vita vissuta, di esistenze nel quotidiano, di gesti che si accomunano. Tutte rinchiuse in fagotti di iuta.

Non abbiamo neanche bisogno di spostarci per assistere alla performance seguente. Siamo invitati da Nina Santès, coreografa e ideatrice di Hymen Hymne, ad entrare in sala, ma a non prendere posto. Infatti, ci muoviamo liberamente, leggiamo i messaggi lasciatici sul pavimento, fino a quando i canti non iniziano. Hymen Hymne è un rito magico e tribale, un’invocazione ad un mondo femminile e femminista. E il pubblico è lì ad un passo dai performer, illuminati dalle loro torce. Alcuni cantano con loro, partecipano, altri assistono a quel grido di forza rituale, potente, violento ma indolore.

Di tutt’altra veste è Argon di Fabrizio Favale, nell’Auditorium di Santa Chiara. Un lavoro che mostra con la danza lo stato della materia, in movimenti eleganti, fluidi, leggeri e puliti, fino a mutare in emozioni e relazioni tra gli individui.

E infine, ci ritroviamo tutti alla Locanda Fiorentino, per consumare insieme l’ultimo pasto, mentre all’esterno la pioggia continua a cadere e i tuoni non danno tregua, per condividere insieme i frutti di un’avventura che io purtroppo ho seguito solo nel tratto finale, ma che, nonostante ciò, mi ha lasciato tanto e aperto ancora di più gli occhi e il cuore su quella che è la condivisione e la partecipazione all’interno della macchina teatrale. Partecipazione che è importante ora più che mai. Siamo stanchi, bagnati, ma impazienti, irrefrenabili. Perché la partecipazione non la fermi, neanche col temporale, perché lo hanno detto in tutte le salse: partecipare è normale.

Devo ringraziare tante persone e tante cose. Devo ringraziare la signora della Foresteria, che mi ha accolto e ha esaudito le mie richieste con gentilezza e pazienza; Luca, Irene, Gianluca, Chiara, Michele e tutto lo Staff, per la professionalità e la disponibilità; i ragazzi del Centro Studi Musicali della Valtiberina, collocato proprio di fianco, l’ostello, che, con i loro esercizi al pianoforte, hanno involontariamente e piacevolmente accompagnato le mie mattine e i miei pomeriggi.

Kilowatt Festival si conclude, va a riposare e chiude gli occhi anche quest’anno, ma solo per un po’. Perché, in fin dei conti, l’elettricità non la puoi fermare. Mai.

Le foto sono di Elisa Nocentini e Luca del Pia / Staff Kilowatt Festival