#DPinTour2019: Kilowatt Festival / DAY #8

Kilowatt Festival – L’energia della scena contemporanea – diversi perché umani

#DAY8

 

Quando dicono che “partecipare è un atto di responsabilità”, i ragazzi del Kilowatt non scherzano di certo. Bisogna accendere i sensi, riscaldare i muscoli e, magari, togliersi qualche peso dal cuore. Quei pesi che ti impediscono di andare oltre quelli che tu consideri i tuoi confini.

E questo, Sansepolcro lo ha fatto capire forte e chiaro. Sì, perché Sansepolcro è Kilowatt. Un perfetto miracolo di simbiosi culturale e urbanistica. Ma partiamo dall’inizio. Dal mio arrivo, esattamente, a quelli che sono gli ultimi giorni di elettricità.

25 Luglio. Arrivo dopo circa quattro ore di viaggio, tra treno e corriera, con il cellulare che mi sta già abbandonando, e ad accogliermi ci sono 36 gradi. Ma non mi pesa, anzi non mi importa, quindi con il mio trolley mi addentro nei vicoli stretti e intimi del borgo aretino. Mai come in quei momenti avrei voluto che le mura potessero parlare, sarei stata ore a sentire i loro racconti, storie di una vita secolare che fuoriescono da ogni mattonella.

E dopo aver posato i bagagli e parlato con la disponibilissima Irene, che mi dà tutte le indicazioni necessarie per muovermi tra quei vicoli, e dopo essere arrivata a Piazza Torre di Berta, finalmente realizzo: sono al Kilowatt Festival.

Non perdo tempo e mi avvicino a Palazzo delle Laudi, dove mi aspettano per la mia prima tappa: Le 9 Lune di Tamara Bartolini e Michele Baronio. Per l’esattezza, la settima Luna, la Luna di Patrizia.

Patrizia ha un grosso fardello tra le mani, un fardello del quale si prende cura come se fosse suo figlio: la memoria storica del paese, la memoria della Resistenza. Professoressa di italiano, dopo aver aiutato a ripulire gli innumerevoli fascicoli dell’archivio storico del Museo della Resistenza di Sansepolcro, se n’è innamorata.

9 lune bartolini/baronio

“È tutto lì”. Ed è vero. In quell’ufficio, tra un pezzo di focaccia e un bicchiere di vino, in quel museo decorato dagli eroici fantasmi del passato, Barbara e Michele ci raccontano della sua storia e di come Patrizia stia salvando quel passato e lo stia aiutando a non essere dimenticato.

Dopo essere atterrata dal loro sogno lunare, torno alla realtà. Alla cruda e vera realtà dell’attualità. Alessandro Sesti, attore umbro, ci racconta di una storia di cronaca nera napoletana. Curioso, direte voi. Non dovrebbe esserlo, perché davanti al dramma di una bambina di 6 anni buttata giù dal un balcone e al silenzio assassino dei testimoni di quella tragedia, nessuno dovrebbe stare zitto. E Alessandro non lo fa di certo. Alessandro parla, ride, piange, urla, chiama il nome di Maria, nomignolo che aveva dato alla piccola Fortuna. Ma Maria non può più rispondere alle prese in giro di Alessandro. Maria/Fortuna è morta, uccisa dalla violenza e dall’omertà.

fortuna alessandro sesti

La luce va a dormire e l’aria si fa più fresca. Ho un po’ di tempo per digerire il pugno nello stomaco lasciato da Alessandro Sesti e prenderne un altro poco dopo, quello de La Classe di Fabiana Iacozzilli.

Molto buio, poche parole. Solo le espressioni innocenti dei bambini-marionetta, che aspettano un altro terribile giorno di scuola con Suor Lidia. Grassa, coi baffi e maleodorante, lei e tutt’altro che una maestra amorevole. Lo capisco dal tremore delle gambette dei bambini, dagli occhiali spaccati, dalla sua risata crudele e sguaiata.

Tra una scena e l’altra, le testimonianze dei ragazzi che, in classe con Suor Lidia, ci sono stati davvero. Coloro che hanno subito le sue torture e le sue ingiuste punizioni. Coloro che, alla notizia che Suor Lidia è morta, tirano un sospiro di sollievo e dicono “Era ora”. E la stessa Iacozzilli, guardandosi dentro e capendo chi è diventata, ci chiede e si chiede “…è possibile che un baffo di Suor Lidia mi sia rimasto incastrato dentro al cuore?”

Il sole è tramontato e le luci dei lampioni di sera ci accoglie e ci avvolge, mentre ci incamminiamo verso l’Auditorium di Santa Chiara. Lì ci aspetta una terapia d’urto di colore giallo: Lemon Therapy della Compagnia Enrico Lombardi/Quinta Parete. Spettacolo scelto dalla classe giovane dei Visionari: i Visioyoung. E assistendo allo spettacolo, mi rendo conto del perché l’abbiano scelto.

Il signor P., un uomo di 35 anni, si è dimenticato una buona parte di anni della sua vita. La sua adolescenza, per l’esattezza. Decide quindi di farsi aiutare da V., una psicoterapeuta esuberante, che lo sottopone ad una terapia fuori dagli schemi e che rompe la quarta parete. Infatti, V. chiede aiuto a noi, il pubblico, di darci una mano a far recuperare la memoria a P. Ma col passare dei giorni di terapia, si scoprono e si riscoprono ricordi sopiti, memorie insabbiate e imbarazzi nascosti di quella che è la più complicata e meravigliosa fase della vita. In “Lemon Therapy” ci si possono rivedere tutti: i ragazzi che stanno vivendo quella fase, e gli adulti, che guardano al loro passato con un misto di ironia e malinconia.

Sento la stanchezza, così decido di concludere la mia giornata, sapendo esattamente che per me è solo l’inizio. L’inizio dei giorni conclusivi del Kilowatt 2019.

Le foto sono di Elisa Nocentini e Luca del Pia / Staff Kilowatt Festival; Bartolini/Baronio