#DPinZoom: Al Teatro Argentina con Giorgio Barberio Corsetti

Potremmo dire di essere stati a teatro lo scorso giovedì, più precisamente al Teatro Argentina, ma non saremmo troppo onesti nel dirlo. Nessun dubbio però sul fatto che siamo riusciti a tenerlo aperto! Ospite della nostra seconda riunione stagionale è stato Giorgio Barberio Corsetti, regista teatrale fra i più autorevoli della scena contemporanea e attuale consulente artistico del Teatro Argentina di Roma. Immerso nelle prove de La metamorfosi, suo ultimo spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Franz Kafka che avrebbe dovuto debuttare proprio oggi martedì 10, Corsetti ci concede la possibilità di un confronto a distanza, per parlare del suo ultimo lavoro ma non solo. Dopo una breve introduzione sulla carriera del regista, dai primi lavori con La Gaia Scienza alla direzione di un teatro nazionale, passando per la ricerca sul videoteatro con Studio Azzurro e le più recenti produzioni con la compagnia Fattore K, abbiamo avuto il piacere di porgli qualche domanda.

Matteo Polimanti: Oggi più che mai è necessario indagare il rapporto che ogni rappresentazione teatrale intrattiene con il proprio tempo. Le poniamo allora la seguente domanda: in che modo la vicenda di Gregor Samsa, protagonista del romanzo di Kafka, può ancora oggi catturare le nostre coscienze di contemporanei?

Giorgio Barberio Corsetti: Innanzitutto bisogna dire che stiamo parlando di un autore molto particolare, in grado di creare universi narrativi paradossali, sviluppati con crudele determinazione fino alle più estreme conseguenze. Kafka mantiene sempre sui suoi personaggi uno sguardo mite, dal basso, come per certi versi può essere quello degli animali. Del resto è proprio attraverso la metamorfosi di Gregorio in insetto che assistiamo ad un cambio di prospettiva, alla presa di un nuovo e diverso punto di vista sulla realtà umana. I suoi sono romanzi che da quest’ultima prendono le distanze per rappresentarne meglio le criticità, per rispecchiarla nel suo riflesso immaginario, andando così a prendere di petto certe problematiche che ci riguardano ancora oggi nel profondo. Una su tutte quella del lavoro, che pur faticoso e opprimente Gregorio accetta con totale abnegazione, e anche con una certa innocenza, fino a lasciarsi trasformare dallo stesso.

“La metamorfosi” di Giorgio Barberio Corsetti – Teatro di Roma

Ed è proprio il lavoro ad avviare questo processo di autoannullamento e svilimento della persona, un processo che ci coinvolge e trascina con sé all’interno di un mondo fatto di solitudine, dove regna sovrana l’incomprensione. Ci troviamo così immersi in una dimensione che ha molto a che fare con una grave malattia sociale, ovvero la depressione, la patologia di chi si sente inadeguato, incapace ad affrontare le sfide che la vita gli pone innanzi. Oggi viviamo in una realtà estremamente competitiva, in cui è difficile per ognuno trovare il proprio posto. Questo genera in tutti noi un fortissimo senso di inadeguatezza, nonché di avvilente precarietà ed incertezza. Recentemente, con la crisi legata alla pandemia ancora in corso, si è parlato molto di fluidità del lavoro, per cui quest’ultimo, e con lui i diritti di chi lo esercita, tende a farsi sempre più immateriale, impalpabile, al punto da sfuggirci di mano. Tutto questo è andato ad inserirsi in una situazione mondiale di crisi permanente, che versa in condizioni critiche da ben prima dell’avvento del virus. Situazione che rischia di trascinarci inesorabilmente in un baratro sociale di falsi bisogni, in una corsa frenetica al consumo, in un processo di rottura e perdita della propria identità, proprio come succede al povero Gregorio.

Matteo Polimanti: Precarietà, incertezza… Parole che descrivono benissimo ciò che tutti noi stiamo provando in questo periodo, specie sul piano lavorativo. Diverse sono le categorie a rischio, una in particolare non può non attirare la nostra attenzione: quella dei lavoratori dello spettacolo dal vivo. In uno dei suoi più recenti post su Instagram il Teatro di Roma (TdR), a seguito del dpcm del 25 ottobre che sanciva la chiusura al pubblico di teatri e cinema fino al 24 novembre, ha assunto una significativa presa di posizione nei confronti del governo nazionale, riscontrando “come il valore culturale ed economico prodotto dalla nostra attività venga considerato come non necessario al benessere delle persone e della società”. Può darci un suo ulteriore commento a riguardo?

G.B.C.: Per chi fa il nostro mestiere, ma più in generale per chiunque ami il teatro, è sembrato ridicolo il fatto di considerarlo come un luogo meno sicuro rispetto ad altri, come le sale da gioco, i centri commerciali, le chiese. Con tutto il rispetto per chi crede… ma io credo nel Teatro! Abbiamo sempre svolto con estrema prudenza ed accortezza tutte le procedure necessarie a ridurre al minimo il rischio del contagio. Uno dei motivi per cui peraltro ho scelto di lavorare su “La metamorfosi” è che tutti i personaggi, poiché schifati dal suo aspetto, cercano di mantenere la massima distanza possibile da Gregorio. Quel che è grave però è l’incapacità, da parte di molti, di capire che il teatro è un antidoto sociale, il porto franco in cui la collettività trova riparo dal frastuono del mondo esterno, dal chiasso assordante dei media. A Teatro si origina una presenza viva; quella di persone, gli attori, che davanti ad altre persone, il pubblico, vivono ogni volta una nuova ed autentica esperienza. Si dà così vita ad una forma sottile, estremamente fine, di comunicazione, possibile solo a teatro, che ha profondamente a che fare con la percezione che abbiamo degli altri, e che ci permette quindi di coltivare il nostro senso di collettività. Privare una società di questa possibilità equivale a privarla dei sensi più raffinati di cui dispone, sensi che permettono ad ogni suo componente di riflettere sulle diverse possibilità relazionali che l’incontro con l’altro dischiude. Vi dico tutto questo per farvi capire che il teatro è necessario: in un mondo che viaggia sempre più verso la saturazione, l’unica possibilità di evoluzione – per non dire metamorfosi – è di tipo culturale. Noi possiamo modificare il mondo solo modificando il nostro modo di pensarlo, ed il teatro è uno degli strumenti a nostra disposizione per poterlo fare.

Matteo Polimanti: In una conferenza telematica tenuta dai docenti universitari de La Sapienza Calcagnini Di Palma e Porcheddu durante lo scorso aprile, lei ha parlato, relativamente ai suoi spettacoli America e Il processo, rispettivamente del 1992 e del 1998, di “anni in cui potevamo ancora permetterci di provare a lungo”. Ora che i teatri di tutta Italia sono stati chiusi al pubblico una seconda volta, approfitterà di questo periodo per portare ancora più in profondità il lavoro sul testo di Kafka?

G.B.C.: Nel mio mestiere ci sono scadenze piuttosto rigide da rispettare. Così è stato anche per il mio ultimo lavoro. Non nascondo di essermi preso, dopo l’annuncio di questa seconda chiusura dei teatri, qualche giorno in più per provare, ma resta il fatto che entro un certo limite di tempo si debba necessariamente giungere ad un risultato concreto, pena inevitabili complicazioni. Persino negli anni a cui lei faceva riferimento, pur lavorando io e la mia compagnia un po’ come dei simpatici spiantati, che si accanivano sui loro stessi spettacoli finché non erano pronti, alla fin fine c’erano sempre delle scadenze ben precise… e menomale! Con questo mio ultimo spettacolo ho cercato di lavorare come avrei fatto normalmente, come se martedì 10 avessimo dovuto realmente debuttare; così però non sarà, e questo inevitabilmente ci porta tutti a rilassarci e a perdere la concentrazione. Il fatto è anche un altro: non solo non debutteremo il 10, ma non sappiamo neanche quando potremo farlo, e allora ecco che ci lasciamo prendere da un grande sconforto. Proviamo ad immaginare insieme future possibili date, ma non è facile. Mi sto muovendo con un misto di indecisione e tristezza, e questo è dato dal fatto che al momento non sono obbligato a prendere scelte definitive.

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Chiediamo poi al direttore di parlarci del progetto del TdR Cantiere Amleto o La gioventù usurpata, pur immaginando pessimisticamente la sua brusca sospensione a causa della necessaria riprogrammazione in primavera di alcuni spettacoli saltati in autunno. “Ma quello rimane!” – ci risponde sicuro Corsetti. “Bene! Ce ne potrebbe parlare meglio allora? Sarebbe molto bello se il nostro gruppo potesse rimanere in prossimità di questo suo progetto.”.

G.B.C.: Prima di tutto ci tengo a dire che lo spettacolo Amleto o La gioventù usurpata, a cui avevo pensato come fase conclusiva del progetto in questione, si farà con ogni probabilità nel prossimo autunno. Un anno dopo rispetto a quelle che erano state le mie prime intenzioni. Ciò non toglie che quanto prima, non appena cioè avrò capito con chiarezza cosa ne sarà di questi giorni in cui La metamorfosi non potrà andare in scena, cercherò di portare avanti il progetto del Cantiere, iniziato nei mesi del lockdown nazionale. Questo perché adesso vorrei tenere il teatro chiuso ma aperto allo stesso momento. Già quest’incontro con voi è un modo di farlo, perché vi porto la testimonianza del mio lavoro con alle spalle il teatro stesso. Possiamo dire che grazie a voi l’Argentina stasera è aperto, e di questo vi ringrazio! Tornando al Cantiere, il progetto è partito con la riflessione sulla figura mitica del personaggio di Amleto, un giovane che, un po’ come Gregorio, fa fatica ad identificarsi con la realtà che lo circonda. Condizione comune a moltissimi giovani che si ritrovano a dover prendere delle scelte fondamentali ad un certo punto della propria esistenza. Per raccontare questa Gioventù usurpata ho allora deciso di intraprendere un viaggio attraverso le periferie capitoline, appoggiandomi alla rete dei Teatri in comune (Teatro Tor Bella Monaca, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Teatro del Lido di Ostia) e realizzandovi una serie di attività laboratoriali e performative di gruppo, volte all’esplorazione del mondo dei più giovani e delle problematiche ad esso connesse. Il progetto, come ho detto prima, si concluderà all’Argentina con lo spettacolo Amleto o La gioventù usurpata, per ricordare che il Teatro non è una cosa superflua, bensì, come il testo shakespeariano stesso suggerisce, il luogo di svelamento degli enigmi profondi che contornano la nostra esistenza, il cuore poetico della città e della vita in comunità.

 

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Parole, quelle di Giorgio Barberio Corsetti, che qui riportate non perdono tuttavia la loro forza rivelatrice, e che soprattutto non smettono di farci riflettere, in un momento in cui è essenziale riflettere ed interrogarci insieme su come poter continuare ad essere spettatori teatrali, pur non potendo ancora assistere ad alcuna rappresentazione. Per questo lo ringraziamo di cuore, nella viva speranza di poterlo reincontrare – stavolta dal vivo! – molto presto…A Teatro, naturalmente.

Link integrale dell’incontro: https://www.facebook.com/dominio.teatro/videos/1431179780555981

Matteo Polimanti