#DPinZoom: Incontro con i Muta Imago

Proseguono con tenacia i nostri incontri telematici, per continuare a rimanere spettatori attivi pur non recandoci a teatro. Ospiti della nostra quarta riunione stagionale dello scorso giovedì sono stati i Muta Imago, compagnia teatrale fondata nel 2006 da Claudia Sorace e Riccardo Fazi, il cui ultimo spettacolo Sonora Desert saremmo dovuti andare a vedere al Teatro India in questo mese. Confrontandoci con entrambi abbiamo avuto la possibilità non solo di conoscere meglio la loro più recente produzione artistica, ma anche di riflettere sulla situazione corrente e sull’imminente futuro dello spettacolo dal vivo.

Anastasia Ulino: Come nasce e qual è stato il processo creativo che ha portato a Sonora Desert? Parlateci a tal proposito dell’esperienza fatta con Oceano Indiano, progetto residenziale e produttivo inaugurato lo scorso marzo dal Teatro di Roma, che insieme alla vostra ha accolto anche le compagnie DOMFabio CondemiIndustria IndipendenteMK. In cosa è consistita? Come è proseguita durante la quarantena nazionale?

Claudia Sorace: Sonora Desert nasce circa due anni e mezzo fa dall’incontro con una graphic novel: “Here” di Richard McGuire. La sua particolarità è che parla sempre di uno stesso luogo in tempi diversi, dall’estremo futuro al lontano passato. Leggendolo abbiamo anche noi sentito il bisogno di capire quale fosse la nostra concezione del tempo, e abbiamo iniziato a lavorarci partendo da un laboratorio, Timeless, tenutosi con alcuni allievi attori della Scuola del Teatro di Roma. Nel frattempo ci stavamo dedicando anche alla realizzazione di Lontano da quispettacolo di teatro musicale portato in scena al Festival Aperto di Reggio Emilia ed alla Stagione Lirica Sperimentale di Spoleto, due città colpite dal terremoto in questi ultimi anni, dove abbiamo perciò cercato di riportare alla mente degli spettatori quell’attimo preciso in cui tutto crolla, restituendo loro una nuova percezione di quel momento. Mentre lavoravamo a tutto ciò abbiamo capito che c’era la possibilità di riflettere e sperimentare ulteriormente sulla dimensione temporale, e quindi anche sulla nostra memoria, essendo memoria e tempo sempre e irrimediabilmente collegati. Abbiamo quindi cominciato ad immaginare un lavoro che avesse luogo soprattutto nella mente dello spettatore, e per farlo abbiamo pensato di collocare lo spettatore stesso al centro della scena, sdraiato e immobile. Lì, attraverso una serie di vibrazioni sonore – da cui la collaborazione con Alvin Curran, padre della musica minimalista e sperimentale degli anni ’60 – e luminose, sarebbe riuscito, dimenticandosi del proprio corpo, a viaggiare all’interno della propria memoria, riscoprendola autenticamente attraverso un’esperienza percettiva del tutto nuova e rigenerante. Stava prendendo forma Sonora Desert.

Riccardo Fazi: Il riferimento nel titolo è presto detto: si tratta del deserto di Sonora, negli Stati Uniti, dove intorno agli anni ‘50 vennero fatti una serie di esperimenti sul rapporto che sussiste tra i vari stati di coscienza umana, prevedendo anche l’utilizzo di droghe psichedeliche. Un luogo mitico, quindi, dove abbiamo idealmente immaginato il viaggio mentale dei nostri spettatori.

“Sonora Desert” – Teatro di Roma

Il lavoro di scrittura drammaturgica è poi proseguito con la residenza ad Oceano Indiano, un progetto a mio avviso lungimirante e fondativo: almeno per quanto mi ricordi io, è la prima volta che un teatro stabile si assume la responsabilità di investire così generosamente su alcune compagnie indipendenti per permettere lo sviluppo e la realizzazione dei loro progetti. Non è tutto: Francesca Corona e Giorgio Barberio Corsetti ci hanno chiesto di spendere il nostro tempo anche sull’ideazione di una serie di format e di possibilità altre per poter rimettere in relazione il Teatro India con la propria città. È così che noi, e le altre compagnie coinvolte, abbiamo fin da subito strutturato un programma di azioni che avrebbe affiancato la programmazione del teatro e che sarebbe dovuto iniziare a marzo e finire a giugno. Poi è arrivato il Covid, e con lui la domanda che tutti abbiamo recentemente imparato a temere: “Volete fare qualcosa per il web?”.  Ci siamo tutti trovati d’accordo nel rifiutare di provare a trasferire il teatro online, ma non siamo comunque rimasti con le mani in mano. In sole due settimane è nata Radio India. Un medium caldo rispetto ai social, che non cerca, ma pretende di essere cercato, che non invade, ma vuole essere invaso. Per un mese e mezzo ci siamo lanciati in questa stimolante avventura, trasformandoci in una vera e propria redazione e realizzando contenuti inediti legati ai nostri spettacoli in lavorazione. La nostra compagnia ha lanciato il podcast Sparizioni (https://www.spreaker.com/show/sparizioni-muta-imago), che si è nutrito moltissimo del lavoro creativo fino ad allora condotto su Sonora Desert.

Anastasia Ulino: C’è l’ipotesi che Radio India possa riprendere vita e continuare la propria attività? Avete aggiornamenti in merito? 

“Sparizioni” – Muta Imago per Radio India

C.S.: Stiamo cercando di capirlo anche noi. La situazione attuale è molto complessa, forse addirittura più complessa rispetto a quella del primo lockdown. Ad ogni modo, con ogni probabilità riusciremo a riattivarla. A breve ci incontreremo nuovamente con le altre compagnie per capire cosa fare, e non si tratterà certo di un passaggio scontato. Bisogna capire bene come muoverci, quale tipo di dinamiche (re)instaurare all’interno del gruppo di lavoro, valutando i progetti futuri di ognuno di noi e i diversi obiettivi artistico-professionali, ma anche cercando di capire quale sia l’attuale disponibilità delle persone ad ascoltarci.

R.F.: Rifare Radio India esattamente come l’abbiamo fatta a marzo non avrebbe alcun senso. Tutto va ripensato a seconda del nuovo contesto in cui di volta in volta ci si trova. A luglio di quest’anno, ad esempio, quando il settore teatrale, pur con le dovute difficoltà, è riuscito a ripartire, l’attività che fino a quel momento ognuno di noi aveva portato avanti rinchiuso nelle proprie quattro mura è stata trasferita nel bar del Teatro India, trasformandolo così in una vera e propria stazione radiofonica, e dando vita ad una nuova modalità di lavoro stavolta collettiva e non più individuale; ci siamo incontrati tutti i fine settimana e abbiamo tradotto quella che era stata un’esperienza completamente virtuale e individuale in una dimensione reale di effettiva condivisione.

Anastasia Ulino: A proposito di modalità lavorative partecipate e condivise, attraverso il vostro sito https://www.mutaimago.com/ ho avuto modo di constatare che lasciate che la vostra compagnia si rinnovi molto spesso al suo interno. In che modo questo influisce sul vostro lavoro?

R.F.: Rinnovarsi spesso significa assumersi una certa dose di responsabilità, almeno per come lavoriamo noi, che mediamente impieghiamo un anno per realizzare uno spettacolo. Tutto si rinnova di volta in volta nel nostro lavoro, dalla fase di ricerca dei collaboratori alla fase di realizzazione dello spettacolo. Investiamo sempre molto tempo per costruire la giusta dimensione e condividere il nostro linguaggio con chi lavoriamo. Gran parte del lavoro è un reciproco conoscersi, per arrivare a parlare poi la stessa lingua. Per noi realizzare uno spettacolo non ha mai solamente a che fare con il mettere in scena una storia, ma anche col conoscere nuovi professionisti del settore dello spettacolo, personalità insieme alle quali trovare pratiche comuni e funzionali al lavoro dell’intero gruppo. Ristrutturarsi ogni volta è uno svantaggio solo in apparenza: in questo modo non facciamo altro che arricchirci continuamente come persone e come artisti, e arricchire allo stesso modo chi collabora con noi.

Anastasia Ulino: In un’intervista del 2018 nel Web Magazine Zero, avete parlato del vostro punto di vista riguardo la considerazione e la condizione del teatro a Roma, affermando che queste fossero pessime e che vi fosse un ‹‹generale vuoto di pensiero e di progettualità in relazione al senso del fare teatro››. Adesso che da mesi siamo in una vera e propria emergenza, siete ancora più pessimisti?

C.S.: Io per natura non sono mai pessimista, però c’è da dire che Roma è una città abbastanza sorda, dove è difficile trovare degli alleati, degli interlocutori istituzionali seri. Ci si trova in una situazione di abbandono tale nel quale pensi che il tuo nemico sia chi ti sta accanto, e questo è l’errore più grave che si possa commettere. Noi abbiamo vissuto per un po’ a Bruxelles e lì, tanto per fare un esempio, tutti sono più garantiti, di conseguenza anche gli artisti sono meno in competizione gli uni con gli altri. Qui a Roma ci sono condizioni per cui devi lottare e faticare moltissimo per ottenere un minimo di costanza nel tuo lavoro. Noi non abbiamo mai avuto uno spazio, solo ora abbiamo la fortuna di essere residenti al Teatro di Roma, ma fra 2 anni… Chi lo sa? A Roma si è nomadi, mentre i nostri coetanei in Belgio hanno la possibilità di aprire un teatro garantendo al proprio lavoro una certa continuità. Credo quindi, date le circostanze, che sia molto importante stare in una relazione aperta con chi ci sta intorno e non isolarsi. Noi non l’abbiamo mai fatto e mai lo faremo, poiché convinti del fatto che sia molto importante evitare in tutti i modi di avere uno sguardo pregiudiziale o conflittuale sull’altro.

 

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Ringraziamo i Muta Imago per l’occasione fornitaci e gli spunti offerti, di cui sapremo sicuramente fare tesoro nell’attività di direzione artistica partecipata che anche quest’anno ci aspetta: in un’atmosfera lavorativa caotica e dispersiva come quella appena descritta dalla compagnia, ci auguriamo che il nostro Festival estivo possa costituire nel tempo un punto di riferimento sempre più concreto per tutti i giovani artisti che vogliano inserirsi nel complesso contesto produttivo della Capitale.

 

Link integrale dell’incontro: https://www.facebook.com/dominio.teatro/videos/2695405517388110

Anastasia Ulino