#DPINZOOM: Incontro con Daria Deflorian, Antonio Tagliarini e Francesco Alberici

Giovedì scorso, durante la nostra ultima riunione, abbiamo avuto il piacere di ospitare due artisti della scena nazionale e internazionale del teatro contemporaneo: stiamo parlando di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini. In questi giorni saremmo dovuti andare al Teatro India a vedere la loro ultima creazione Chi ha ucciso mio padre, spettacolo tratto dall’omonima opera dello scrittore francese Edouard Louis, inserito nel nostro abbonamento ribelle Under 25 con il Teatro di Roma. Si tratta per il duo del loro primo spettacolo in cui si dedicano esclusivamente alla regia, con in scena come unico attore il giovane Francesco Alberici, anche lui presente alla nostra riunione.

Cecilia Parazzoli: Si tratta della prima volta che mettete in scena un testo non vostro: come avete maturato questa scelta e come è cambiato il vostro lavoro di ricerca drammaturgica rispetto al solito?

 Antonio Tagliarini: Io e Daria quando creiamo sappiamo di essere un po’ lenti, dato che ci immergiamo in un periodo di lavoro lungo e impegnativo. Questa volta però abbiamo deciso di impegnarci in qualcosa che comunicasse qualcosa di urgente e necessario, ma che allo stesso tempo non richiedesse un eccessivo sforzo creativo. Quando eravamo a Parigi per il debutto del nostro spettacolo Quasi Niente per il Festival d’Automne, subito dopo la rappresentazione siamo stati invitati per una chiacchierata dal direttore di uno spazio di Losanna che da tempo conosce il nostro lavoro e che in quell’occasione ci ha consigliato di leggere il testo del giovanissimo Edouard Louis.

Daria Deflorian: A metà gennaio del 2020 abbiamo preso la decisione di portarlo in scena. Pur trattandosi di un romanzo, in realtà non ci siamo imbattuti in qualcosa di completamente diverso dai nostri lavori precedenti: nell’opera di Louis abbiamo fin da subito notato che il materiale letterario ben si prestava ad una restituzione scenica. Qualcosa di simile a quanto solitamente ci capita con i nostri lavori: la letteratura è sempre presente ma destinata ogni volta a nascondersi dietro un processo più ampio e complesso di creazione scenica.
Per non parlare poi delle tematiche affrontate: in primis la questione del rapporto generazionale. Avevamo già iniziato ad affrontarla proprio grazie a Francesco Alberici, il primo Under 30 col quale ci siamo trovati a collaborare ormai 5 anni fa, e col quale si è creato nel tempo un dialogo che ci ha portato nei nostri spettacoli a riflettere più attentamente su questa questione. Ad averci poi impressionati positivamente è stato il forte impegno politico sotteso alla scrittura di Louis, e questo in un periodo storico in cui c’è un grande e diffuso sentimento di delusione nei confronti della politica e delle sue istituzioni, soprattutto da parte delle nuove generazioni. Edouard invece crede fermamente nella politica, nella possibilità di cambiare le cose, non si abbandona mai ad una visione nichilista della realtà che ci circonda, e questo in parte ha generato anche dibattiti interni fra di noi.

A.T.: Altro cruciale spunto di riflessione è stato il rapporto del protagonista con il padre: tra di loro si instaura un non-dialogo, poiché il primo parla all’altro, che però non è presente lì con lui. In un primo momento ho anche pensato di interpretare io il figlio, ma è stata una possibilità che abbiamo abbandonato quasi subito, scegliendo Francesco per la sua giovane età ma anche per una continuità di rapporti piuttosto spontanea e immediata.

C.P.: Si tratta infatti della prima volta in cui decidete di non andare in scena in un vostro spettacolo: quanto è stato difficile sottrarvi al palcoscenico?

D.D.: Per me e Antonio si è trattato di un allontanamento graduale. All’inizio abbiamo lavorato sperimentando tutti e tre delle improvvisazioni sul testo, cercando una connessione tra le vicende biografiche di Louis da una parte e le nostre dall’altra. Mentre Francesco era più vicino da un punto di vista generazionale al protagonista del romanzo e al suo modo di stare al mondo, io ho trovato altro nelle parole dello scrittore francese, come ad esempio la vittoria sociale, ottenuta in gioventù, di poter studiare partendo da un ambito familiare di povertà. Antonio si è appropriato della questione dell’omosessualità, ricordando quanto da ragazzino avesse sofferto. A mano a mano che il lavoro proseguiva, abbiamo deciso di farci da parte, lasciando a Francesco sempre più spazio, e dopo un’iniziale fusione fra le parole di Louis e le nostre, siamo ritornati all’originale, lasciando il testo così com’era, cercando di adattarci noi a lui, e non viceversa.

C.P.: Francesco, rispetto ai passati spettacoli di Deflorian/Tagliarini in cui eri sul palco con altri attori, come hai vissuto questa volta la “solitudine” in scena?

Francesco Alberici: All’inizio delle prove con sofferenza: non è facile stare da solo sul palco. È stato molto bello ricevere un tale investimento di fiducia da parte di Antonio e Daria. Ho dovuto combattere con l’insicurezza che mi diceva che non potevo farcela, che non ero all’altezza. Stare con gli altri in scena dà sicurezza, sai di poter fare affidamento su di loro. Ritrovarsi da solo invece richiede una grandissima fiducia nel pubblico, senza vedere in loro un nemico pronto a giudicarti, ma piuttosto un interlocutore aperto e disponibile. Ammetto di aver sempre avuto un rapporto conflittuale con il pubblico, e con questo lavoro posso dire di aver trovato una nuova modalità di dialogo con gli spettatori.

C.P.: E come hai lavorato per immedesimarti nei panni del protagonista?

F.A.: Non ho ricercato una vera e propria immedesimazione a dire il vero. In scena ho portato me stesso, cercando semplicemente di aderire alle parole di un’altra persona, nelle quali riesco a ritrovarmi perché è un altro essere umano che sa raccontare sé stesso, e che racconta una rabbia che anche io ho dentro e conosco molto bene. Non c’è stata immedesimazione, perché il discorso è molto distante da me, ma cercando di portarlo su di me ho scavato per trovare quelle sensazioni in altre questioni che mi appartengono. Anche nei precedenti spettacoli di Daria e Antonio, in cui era presente un nostro racconto biografico che nasceva da sperimentazioni e improvvisazioni, quel racconto diventava poi un copione e quindi un testo teatrale che andava interpretato e imparato a memoria, trasformandosi in qualcosa che non apparteneva più alle nostre biografie, e così è stato anche stavolta.

C.P.: Lo scorso novembre, sempre al Teatro India, avreste dovuto portare in scena anche lo spettacolo Scavi. Nel sito del Teatro di Roma leggiamo “progetto collaterale a Quasi Niente”, vostro precedente spettacolo ispirato al film Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni. Quale rapporto o esigenza lega le drammaturgie dell’uno e dell’altro spettacolo?

D.F.: Nel costruire un lavoro corale e per grandi spazi come Quasi niente abbiamo sentito l’esigenza di tornare ad una dimensione di maggiore intimità. Tornando a parlare del rapporto fra letteratura e scena teatrale, uno dei testi che ci hanno accompagnato verso la realizzazione di questo spettacolo è stato “Accanto a lei. Presenza opaca. Presenza intima” del filosofo francese Francois Jullien, che parla di cosa sia l’intimità e anche di come questa abbia profondamente a che fare col teatro. Quando ci siamo ritrovati a mettere in scena Scavi, la sera prima di debuttare a Parigi con una primissima versione, non avevamo ancora trovato la forma giusta per lo spettacolo. Improvvisamente e in maniera del tutto inconsapevole c’è stata una rottura del confine tra chi ascoltava e noi, e abbiamo mescolato tutte le sedie della sala dell’Istituto di Cultura Italiana di Parigi, dove ci trovavamo. Trovarci tutti, attori e spettatori, in un’atmosfera così condivisa e partecipata, ha permesso alle nostre parole di trovare il loro posto, la loro dimensione naturale. Vivere un’esperienza del genere sul palcoscenico è molto più raro e difficile, perché la distanza fra la scena e il pubblico è molto più marcata.

C.P.: Recentemente siete stati in residenza al Teatro India con Ginger e Fred, spettacolo sulla fragilità del lavoro artistico di fronte alle regole di mercato. Si tratta del vostro prossimo lavoro?

A.T.: Si tratta di un progetto complesso. Il punto di partenza è il film di Fellini Ginger e Fred, dove i due protagonisti interpretati da Marcello Mastroianni e Giulietta Masina interpretano una coppia di anziani ballerini italiani che un tempo amavano intrattenere il proprio pubblico riproducendo i numeri del duo americano composto da Ginger Rogers e Fred Astaire. Nel film i due vengono chiamati da una televisione commerciale dopo un lungo periodo di inattività, e si ritrovano catapultati in un mondo a loro del tutto sconosciuto, che li stordisce e confonde.

D.F.: Il film ci ha portati in questo modo a condurre una ricerca più approfondita sulla coppia artistica, legata irrimediabilmente al numero due, un numero molto importante, nella vita privata ma non solo. La coppia è una forma interessante e complessa da osservare, attraverso la quale interpretare il mondo. Lavorare sulla questione della coppia insieme ad Antonio è un modo per riflettere direttamente sul nostro lavoro artistico.
Il film di Fellini ci ha inoltre portato a farci molte domande sui social, anche se ancora non sappiamo se questo andrà o meno a confluire nello spettacolo. Fellini negli anni ‘80 provava un certo dolore nel vedere i film in tv massacrati dalle interruzioni pubblicitarie, e vedeva in quel modo di fare spettacolo in tv la cancellazione della fragilità artistica tipica di tanti suoi personaggi. Ci siamo chiesti: se oggi per fare un film vengono presi degli attori in base al numero di follower che hanno su Instagram, in quale strano inferno mediatico siamo costretti a navigare? E per quanto ancora?

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A proposito di inferni da navigare, di periodi critici da scongiurare, noi tutti ci auguriamo di poter tornare presto a teatro, di poter incontrare dal vivo Daria, Antonio e Francesco, non solo per vedere i loro spettacoli, ma soprattutto per stabilire con loro un contatto più diretto ed autentico! Ci teniamo a concludere l’articolo sulle note di “Cheek to cheek” con i fantastici Fred Astaire e Ginger Rogers, proprio come fatto lo scorso giovedì a riunione, per augurare nuovamente buona fortuna a Daria e Antonio col loro prossimo progetto!

 

Cecilia Parazzoli