#YOUNGBOARD – Dominio Pubblico sbircia dentro Fondamenta: Percorso 6 con Lisa Ferlazzo Natoli

Dal 6 all’8 Aprile al Teatro India ho avuto modo di assistere e partecipare al sesto dei sette moduli di Fondamenta, nuovo progetto di formazione del Teatro di Roma pensato come risposta attiva e partecipata a questo periodo di pandemia. In questi tre giorni ho preso parte al processo creativo della regista Lisa Ferlazzo Natoli, che ha diretto un ensemble di 15 persone: attori professionisti provenienti da esperienze lavorative e umane diverse.


Questo giovane gruppo non si era mai trovato a lavorare insieme, se non giusto qualcuno dei presenti, ma al secondo giorno già non si sarebbe detto. Sento il bisogno di scriverlo fin da subito: quello a cui ho avuto modo di assistere non è stato un workshop tradizionalmente inteso, dove da una parte c’è chi fornisce delle nozioni o assegna dei lavori da svolgere e dall’altra chi esegue o ascolta. È stato qualcosa di ben più profondo, dove la voglia di fare e imparare degli attori è stata fin da subito valorizzata dalla maestria della regista, in grado di riconoscerne gli umori e far uscire il non detto, smuovere la sensibilità assopita di ognuno dei presenti, che chi più chi meno non saliva sul palco da almeno un anno.
Dunque a cosa ho assistito? Tre giorni per lavorare su tre aspetti: il proprio corpo, il testo della drammaturga Caryl Churcill L’amore del cuore (1997), e il tessuto di relazioni che tra i personaggi deve esistere e vivere sul palco. Stare è stata la parola chiave dall’inizio alla fine, in termini più incisivi esserci, o ancora meglio, riportando le parole di Lisa, essere «stupidi sul palco», perché chi entra in scena pensando è già morto dentro, incapace di restituire all’altro un sentimento. Ma questo è solo uno dei tanti temi trattati che mi porterò nel cuore… Sono state giornate così intense che è difficile restituirne il sapore.

L’espressione più folgorante della prima giornata di prove, errore di saggezza, mi ha colpito per la semplicità con cui Lisa ha voluto dare valore alla possibilità di lasciarsi andare, anche con il rischio di sbagliare e di non seguire una regola già preimpostata da qualcun’altro. Un incitamento che ha trovato la sua più alta espressione l’ultimo giorno nella lezione di Laura Claudia Scarpini, danzatrice eccelsa, che basa la propria arte sull’individuazione di passi di danza in grado di mettere in moto ogni singola parte del corpo, alla continua ricerca del disequilibrio, della caduta e dello sforzo di controbilanciare il movimento. Si è inoltre rivelata una dj formidabile, capace di spaziare dalle sonorità dei The Cure alla musica house e techno, passando per il rock. Quanto sudore per i nostri poveri attori!

Non dimenticherò questi giorni facilmente, anzi la difficoltà nel restituire un senso a quelle giornate mi mette nella strana condizione di chi deve spiegare a un amico per la prima volta perché ci si è innamorati. Come ha detto Lisa in questi tre giorni, «la vita è un linguaggio che sfugge», il più nobile e allo stesso tempo il più sporco dei linguaggi, e così ho sentito il rapporto con il testo su cui abbiamo lavorato, L’amore del cuore. Un testo atipico, fastidioso, surreale e allo stesso tempo così familiare, dove dieci battute in croce si ripetono continuamente, ma mai in maniera identica, messe in moto da una famiglia di cui non sapremo mai nulla per davvero, ma di cui intuiamo i drammi. C’è una ripetizione ossessiva di poche battute che ogni volta, ripetendosi, sfociano nell’aggiunta di altre poche battute, sempre diverse, che rivelano, senza dire molto, l’umore reale dei personaggi.
Incredibile poi come nella ripetizione continua di un’unica scena, come è stato notato da Daisy, attrice presente nei tre giorni, ci si possa immedesimare ancora di più oggi, dopo il periodo in cui siamo stati rinchiusi in casa a condividere lo spazio con chi non abbiamo scelto, nella ripetizione ossessiva di giornate sempre uguali.
Non è tutto: i momenti di lavoro sul testo sono stati tra i più proficui e gravidi di idee, grazie anche all’intervento della regista Giorgina Pi, che da tempo lavora sui testi della Churchill e che ha saputo schiarirmi le idee su quello strano atto della traduzione da una lingua a un’altra, dove è la semantica a prevalere, in nome della restituzione di un senso che dobbiamo accettare di star a volte trasportando a nuove possibilità. L’altro testo della drammaturga britannica ad esempio, che compone il dittico Cuore blu, è stato tradotto in Caffettiera blu, quando l’originale titolo britannico è Bollittore blu.

Un ultimo pensiero mi riconduce al primo giorno di lavoro. Nello spiegare come l’attore debba saper tanto tenere la scena quanto “lasciarla andare”, Lisa ha detto che bisogna essere sempre in grado di «saper dire addio», ed ecco io vorrei concludere con quella che per me è stata la sensazione più intensa di questi giorni, citando nuovamente Lisa: «Il teatro è erotico o non è». E io devo ammettere di essermi molto eccitato in questi tre giorni.

Walter Altamirano

Foto © Claudia Pajewski