La solitudine e il grottesco ne La Metamorfosi di Giorgio Barberio Corsetti

Articolo di Federica Ferraro

                                                 La metamorfosi – Ph Claudia Pajewski

L’alienazione e la solitudine sono tematiche preponderanti nell’ultimo lavoro di Giorgio Barberio Corsetti che, riprendendo Kafka, mette in scena La Metamorfosi al Teatro Argentina dal 3 al 9 maggio. Lo spettacolo, che aveva debuttato eccezionalmente su Rai 5, riapre la stagione del teatro di Roma.

A largo Argentina il sole è ancora alto, per una replica serale che inizia molto prima del solito, alle 19, e con capienza dimezzata. Lentamente, il pubblico prende posto in platea. La felicità è palpabile in quel caos di parole e di saluti. È come se ci si trovasse a una rimpatriata fra vecchi compagni di scuola, è come se tutti si conoscessero, condividendo l’euforia di incontrarsi di nuovo in teatro, luogo di ritrovo per una comunità che, forzatamente, negli ultimi mesi si è dispersa. 

Quando le luci iniziano a spegnersi il silenzio è totale, carico di tensione e di aspettative. Si trattiene il respiro. Gli attori entrano dalla platea, nella sala buia, indossando delle mascherine, emettendo suoni non distinguibili. Il palco si è trasformato in una camera da letto.
Ora, cantando, gli interpreti si sistemano intorno a quello che si scoprirà essere il protagonista: Gregorio Samsa, interpretato da Michelangelo Dalisi, che, attraverso il suo corpo, rende visibile ogni aspetto della metamorfosi del suo personaggio.
Una partitura gestuale fortemente caratterizzata mette in risalto il lavoro coreutico del cast composto, oltre che da Dalisi, da Roberto Rustioni, Sara Putignano, Anna Chiara Colombo, Giovanni Prosperi, Giulia Trippetta, Dario Caccuri.
Fin dall’inizio, gli attori passano dalla terza alla prima persona, in una narrazione dal carattere volutamente grottesco. 

La scenografia, ad opera di Massimo Troncanetti, divide i due spazi principali, la stanza di Gregorio e il salotto, offrendo la visione simultanea dei due ambienti.  Lo spettacolo esplora tematiche che hanno interessato l’intera collettività dall’avvento della pandemia, producendo un effetto catartico. Gregorio vive passivamente la sua frenetica vita lavorativa che non gli dà alcuna soddisfazione, accettando, suo malgrado, la posizione di capofamiglia che il padre gli delega, facendolo allontanare da tutti i suoi cari. Egli, in una depressione che lo fa ripiegare su sé stesso fino a farlo diventare uno scarafaggio, si preoccupa di questa sua trasformazione solo per quel che riguarda la reazione degli altri.

In questo modo, Barberio Corsetti pone di fronte al pubblico l’isolamento e l’alienazione dell’uomo contemporaneo, criticandone i suoi elementi più utilitaristici e capitalistici.
L’incomprensione e l’incomunicabilità sono temi costanti. I familiari credono che il Gregorio animale non li comprenda perché non più in grado di esprimersi e, per questo, viene lasciato solo. Considerato inutile in una società capitalistica, frenetica e disumana, la sua famiglia si sente liberata dalla sua inevitabile morte. 

Infine, quando il sipario si chiude e gli attori rientrano in scena con le luci accese, gli applausi durano a lungo: il pubblico ringrazia non solo per la messa in scena, ma anche per i lunghi mesi di resistenza.