Arrivano i Motus al Teatro India: lì dove Tutto brucia, spegnere l’incendio

Articolo di Matteo Polimanti

Molto fumo nell’aria, un timido silenzio a tratti disturbato da chi si appresta a prendere il proprio posto, e delle ipnotiche luci violastre a insistere sulla scena. La sera dello scorso giovedì 16 settembre, alle ore 20:00, si aprono le porte della Sala B del Teatro India.

Dall’atmosfera giuliva che si respirava poco prima all’esterno fra una bevuta e l’altra, ci immergiamo in tutt’altra situazione.

L’attesa per Tutto brucia dei Motus s’è fatta molto sentire nei giorni precedenti. Alcune ragazze di Dominio Pubblico, già andate a vedere lo spettacolo la domenica prima nell’ambito della sedicesima edizione di Short Theatre, non hanno mancato di riferire a chi sarebbe andato giovedì le proprie impressioni. Nessuno di noi aveva mai visto prima uno spettacolo della compagnia, fondata nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, ma a molti era più volte capitato di incontrarne il nome nei manuali di teatro contemporaneo durante il proprio percorso di studi universitari, come gruppo di artisti impegnato nell’affrontare tematiche di forte attualità. Ora era finalmente giunto il momento di avere un’esperienza diretta del loro lavoro, di poter dire “anch’io!”.

Le suggestioni di chi ci ha preceduti non riescono a prevenire il forte stupore provato dopo l’ingresso in sala, e menomale. Poco prima che lo spettacolo abbia inizio, ci permettiamo di alzarci dai posti assegnatici, senza dare troppo nell’occhio o fastidio ai presenti, trovando le migliori angolazioni per fare foto e video alla scenografia. Una distesa di cenere, o forse sabbia – cominciamo fra di noi ad indagare sul tipo di materiale impiegato, ma la ricerca sarà destinata a rimanere incompiuta – invade tutto lo spazio scenico. Sulla destra un microfono ad asta e una chitarra elettrica, delle fortissime lampade led appoggiate a terra, e sulla sinistra, non capiamo bene cosa in realtà… Di qualunque cosa si tratti, l’impressione che ne ricaviamo, anche aiutati da quanto letto nel libretto di sala, è quella di una carcassa umana o animale. Tutto brucia è infatti una rilettura de Le Troiane, con diversi contributi moderni di autori che negli anni hanno voluto misurarsi con il testo euripideo. Finita la nostra piccola spedizione, spegniamo il telefono e torniamo ai nostri posti.

 

 

Foto di ©️ Claudia Pajewski

Dal fondale buio e polveroso, finalmente vediamo dirigersi verso di noi Francesca Morello, fino a raggiungere il microfono e impugnare la chitarra. Per tutta la durata dello spettacolo sarà lei a svolgere il ruolo di coro tragico, con testi rigorosamente in inglese proiettati in alto per agevolarne la comprensione. Versi pieni di dolore e lamento, con una particolare attenzione a tutti gli elementi naturali devastati dalla guerra di Troia, ormai conclusasi.

Il drappo nero in fondo alla scena, a mano a mano che il commento musicale prosegue, inizia ad agitarsi, e lentamente viene attraversato da una sagoma misteriosa, che avanza sulla scena. Silvia Calderoni si dirige così verso la carcassa da noi prima notata, e con una sorta di falce alla mano affonda ripetuti colpi, mentre continua a emettere inquietanti versi molto cupi e profondi. A questo punto fa il suo ingresso anche Stefania Tansini, figura fragile e precaria che a stento riesce a reggersi ancora in piedi. Il dramma può avere inizio.

Le due performer vestiranno via via i panni delle donne protagoniste della tragedia euripidea, rimaste sole e abbandonate dai propri mariti caduti in guerra, nella terra natìa che ora fanno persino fatica a riconoscere. Molte di loro, come Ecuba o Cassandra, finiranno schiave degli achei, dannandosi per la propria sorte e quasi invidiando il destino di chi già morto in guerra. La morte finale del piccolo Astianatte toglierà quel briciolo di speranza rimasto alle povere donne.

 

Tutti i momenti culminanti della tragedia vengono rievocati con coreografie dove centrale è il corpo martoriato, quasi fatalmente attratto al suolo, delle due donne, le quali più volte prendono con le proprie mani un gruzzoletto di terra per poi lasciarselo cadere addosso, e lasciarsi anche loro trascinare giù.

Rimaniamo affascinati dai giochi di luce e dalla presenza magnetica dei loro corpi, ma lo stupore non riesce a sostituirsi all’amarezza di fondo nel vedere rappresentata una situazione talmente drammatica. Tutto è spento, tutto è già stato e non tornerà a essere. Niente vive, perché tutto brucia.

Foto di ©️ Paolo Porto 

La tragedia euripidea accompagna ormai da secoli l’uomo e la sua storia, invitandolo a cogliere l’essenza intima della sofferenza causata da qualsiasi guerra nei confronti dei più deboli. Ad oggi sono ancora molte le Troiane che soffrono nel mondo: difficile, davanti alla scena dei Motus, non rivolgere un pensiero alla deprecabile condizione in cui versano oggi le donne afghane, in seguito alla recente ascesa del regime talebano nella nazione asiatica. Dopo anni di significative conquiste per la propria indipendenza ed emancipazione sociale, si trovano oggi private, ancora una volta, della propria autonomia di pensiero ed espressione, vittime di una discriminazione di genere giustificata da malriposte credenze religiose. Anche loro costrette a salutare i loro piccoli Astianatte, tentando di garantire loro un futuro radioso e prospero, nella totale incertezza di poterli rivedere e riabbracciare un giorno.

All’improvviso un giubbotto salvagente cade a picco dall’alto verso il basso, provocando un gran tonfo al centro della scena. Ecco allora nascere spontaneo un secondo parallelismo: quello con chi ogni giorno, fuggendo dalla guerra, rischia la propria vita nel Mediterraneo, pronto/a a perdere tutto pur di conservare un ultimo barlume di speranza per una vita migliore, dignitosa, dove sia l’umanità a prevalere.

Dopo un lungo applauso, ce ne usciamo all’aperto rammaricati per ciò su cui lo spettacolo ci ha fatto riflettere. Di certo non è un futuro roseo quello che ci si prospetta davanti. Non siamo la prima né, purtroppo, saremo l’ultima generazione che dovrà confrontarsi con drammi umanitari di tale portata. Ci rifiutiamo tuttavia di considerarli parte di un ordine naturale delle cose e degli eventi. Non lo sono, non lo sono affatto. Lì dove tutto brucia, bisognerà sempre cercare di spegnere l’incendio.