Liberamente tratto da Sylvie e Bruno di Lewis Carroll, va in scena al Teatro India di Roma lo spettacolo omonimo di Chiara Lagani e Luigi de Angelis, con Andrea Argentieri, Marco Cavalcoli, Chiara Lagani, Roberto Magnani ed Elisa Pol.
L’evento giunge in occasione dell’uscita, per Einaudi, del terzo romanzo di Lewis Carroll, nella nuova traduzione di Chiara Lagani. Come per il libro, lo spettacolo mette in scena l’avvicendarsi di due storie parallele che si intrecciano continuamente, e sviluppa una intensa dilatazione macro-narrativa di un momento ben specifico della giornata, ovvero gli attimi prima del sonno, in cui il trapasso tra una percezione materiale del mondo ed una invece più onirica e intangibile è avviato, ma ancora non del tutto concluso.
Ph. Enrico Fedrigoli
L’ambiguità e la compresenza sono e fanno parte del gioco sia dell’universo adulto, corporeo e viscerale, che di quello dei due bambini che danno il nome all’opera, e che subentrano ad intervalli a restituire carattere di innocenza, spontaneità ed ebrezza. La regia sceglie a tal proposito di non mantenere statici i rapporti dei ruoli tra gli attori, i cui personaggi sono integralmente calati in questo continuo rimbalzo tra l’una e l’altra atmosfera, che ci consente di sorvolare qualsiasi giudizio di merito circa la natura dei caratteri in gioco, quanto piuttosto di godere superficialmente del piacere della suggestione trasformativa. In questo la compagnia è aiutata dal sapiente utilizzo di luci e costumi, che intavolano un puzzle di colori, che è quasi un rompicapo, e che sembra costituire una poetica a parte.
Gli attori e le attrici Andrea Argentieri, Marco Cavalcoli, Chiara Lagani, Roberto Magnani ed Elisa Pol in scena.
L’orchestralità della restituzione è rintracciabile anche nel rapporto che il testo di Carroll ha con lo spazio della scena in cui recitano gli attori, schematizzato nelle sue componenti ortogonali di destra, sinistra, fondo, fronte, e con le musiche d’accompagnamento; questa complessità dona, da un lato, struttura all’opera, ma rischia di diventare essa stessa un gioco troppo solista agli occhi di chi osserva. Il finale permette di dire che, in fondo, gli autori sono consapevoli anche di questo.
Marco Corte- Redazione Dominio Pubblico U25