Preferisco il rumore del mare – BALT Collettivo
Cosa ci si può aspettare dalla vita cedendo sé stessi ad un sistema messo meccanicamente in funzione da quella promessa di felicità che sfugge alla volontà di chi ogni giorno la persegue ignorando il fatto che è sempre meno a portata di mano, ben al di là delle nostre reali possibilità? Non c’è tempo per pensarci sopra, non c’è tempo per prendersi una pausa e provare ad aprire gli occhi, fermarsi anche solo per qualche istante e prestare la propria attenzione a ciò che tendiamo a dare ormai per scontato. Magari il silenzio… magari il rumore del mare può restituirci quel tanto di serenità di cui abbiamo bisogno. Ma questo non è possibile. Fermarsi equivarrebbe ad arenarsi, bloccarsi proprio quando c’è bisogno di andare più a fondo. Ignora il rumore del mare! Immergiti e vedi di non indugiare oltre… cerca piuttosto di essere uno squalo.
La domanda, tuttavia, rimane: cosa c’è esattamente laggiù, nel “centro”? Prendersi quel tempo che ci spetterebbe per chiedercelo potrebbe essere già di per sé un passo avanti per rasentare le profondità di un abisso che non ci è concesso scandagliare come si deve. Ciò che ne consegue sarebbe troppo rischioso, significherebbe arrivare a domandarci una volta per tutte: sono davvero felice? Per questo ci viene detto di andare sempre più a fondo… senza mai fermarci. Questo è quanto emerge dallo spettacolo intitolato Preferisco il rumore del mare (andato in scena sabato 13 e domenica 14 gennaio all’Argot Studio in occasione della rassegna teatrale U35 Green Days) ideato e messo in scena dal Collettivo Balt per raccontare storie incentrate su singole vite decise ad immolare tempo e forze in cambio di un qualcosa che dia concretezza alle speranze riposte in un ordine generale incorporato nelle esistenze di ognuno di noi, incarnato nelle ritualità del quotidiano. L’ossequio al dovere è la più emblematica delle celebrazioni che compiamo ogni giorno per una parvenza di riscatto, di un riconoscimento che gratifichi i nostri sforzi e ci induca a pensare che, in fin dei conti, nulla sia stato sacrificato invano. Eppure, è proprio questo “dovere”, sottoforma di imperativo autoimposto, che spinge tutti noi a una frenetica corsa contro il tempo, a sfruttare fino allo sfinimento quella dedizione ossessiva in nome del massimo risultato. Questo è ciò che esige la legge del capitalismo, racchiusa nell’atteggiamento fideistico di un giovane carrierista (interpretato da Alessandro Balestrieri, co-fondatore del collettivo) dedito esclusivamente all’aspetto più aggressivo nonché egoistico del principio di prestazione. Rinunciare a momenti da dedicare interamente a sé stessi, a tutto ciò che non è considerato funzionale, può solo che giovare alla carriera.
Francesca Mignemi, Alessandro Balestrieri e Eleonora Paris, del Collettivo Balt
ph. Flavia De Muro
È l’assillo di un’efficienza strumentale, opportunistica, non il diritto sacrosanto di sentirsi realizzati e pienamente soddisfatti, il principale comandamento di questo sistema non esente da paradossalità. Il suo potere salvifico resta precluso a chiunque non si conformi alla sua logica, a tutti coloro che non si ritrovino nelle condizioni di poter offrire un contributo materiale, sebbene tutto ciò non avvenga sempre per mera scelta personale. È il caso di tanti giovani e non in cerca di un ruolo da svolgere nella società, in cerca di un margine di dignità per non sentirsi inferiori o inetti, per non sentirsi continuamente additati come disoccupati o, peggio ancora, falliti. Anche loro, forse inconsapevolmente, sono inseriti in questo immenso e spietato meccanismo, in cui, per quanto non ci sia nulla di trascendentale, ci saranno comunque degli “eletti” sicuri del miraggio di una terra promessa, e chi invece, per una prassi senza scrupoli, verrà dimenticato. Tutto questo, in fin dei conti, è normale. Rientra tutto quanto nei calcoli. I due attori in scena, Alessandro Balestrieri ed Eleonora Paris, raccontano questa esperienza: il disagio di due giovani alle prese con una realtà lavorativa indifferente alle nostre vere esigenze.
Ma non è mai troppo tardi. Arriverà il momento in cui guarderemo il “centro” invece di limitarci a gravitarvi intorno. Sarà quell’attimo di intima consapevolezza che aiuterà a comprendere, a capire finalmente come la nostra adesione al culto comporti inevitabilmente l’inabissarsi progressivo dello spirito nella profondità di quella follia che giustifichiamo nei termini di utile e necessario, di giusto e doveroso. È ora di riemergere, ritornare in superficie e godere di questo meraviglioso attimo al quale non si è abituati e ricominciare a respirare… e magari prendersi tutto il tempo che abbiamo per ammirare quel raggio di sole che illumina lo spazio circostante.
14/01/2024
Massimo Fabbri