Giunsero i terrestri su Marte

Giunsero i terrestri su Marte

Giunsero i terrestri su Marte.

Marte, il pianeta rosso: ne abbiamo sentito parlare tante volte, ma sappiamo poco di lui. Nel nostro immaginario è una sfera di color terra cotta, priva di vita, situata ad anni luce da noi. Ma cosa succede se ad un tratto, nell’immaginario collettivo, questa sfera diventa il luogo ideale dove trasportare il genere umano e iniziare una nuova vita? E soprattutto, andare su Marte per ricominciare da capo è davvero la via giusta da percorrere?

Il generale Giulia Heathfield Di Renzi, la dottoressa Gaia Rinaldi e il comandante Francesco Russo (dai nomi degli stessi attori) hanno tentato una missione interplanetaria su Marte. Ad oggi non si conosce il loro stato, potrebbero essere morti. È difficile poter dire con fermezza se siano sopravvissuti o meno.

Tanto fumo, tre astronauti emergono dalla nebbia fitta: hanno toccato terra e stanno camminando su Marte. Il luogo, a prima vista, appare inabitato e ospitale, ma ad un tratto si sente una voce, poi una seconda, poi un’altra ancora…

Ph. Flavia De Muro

Con l’arrivo dei tre astronauti sul pianeta ha inizio Giunsero i terrestri su Marte di Giacomo Bisordi che definisce lo spettacolo come “una performance a metà strada tra un’operetta morale di Leopardi e una piccola odissea malinconicissima sullo smarrimento o più in generale sul senso di essere Terrestri – o Marziani”. In scena dal 9 al 21 aprile 2024 al Teatro India, lo spettacolo vuole mettere in luce la potentissima attrazione che il pianeta rosso ha sulla conoscenza umana perché, come una calamita, attrae i terrestri che vedono in questa nuova frontiera un’occasione per il futuro.

Bisordi, drammaturgo insieme a Pierfrancesco Franzoni, racconta di aver ideato lo spettacolo ispirandosi alle “pagine della fantascienza classica”: sono stati, infatti, proprio i racconti dello scrittore statunitense Ray Bradbury a far crescere nel regista il desiderio di proiettare un genere nato quasi esclusivamente per il mondo cinematografico sulla scena teatrale. 

Dopo l’arrivo dei tre protagonisti su Marte, il generale ordina alle sue compagne di spedizione di cimentarsi in un accurato sopralluogo del territorio. Ma i terrestri non sono soli: tre voci di persone morte che non potrebbero in alcun modo mettersi in contatto con i loro cari sulla Terra, irrompono nella quiete creatasi. La nonna della dottoressa Rinaldi, la zia del generale Di Renzi e il papà del comandante Russo si mettono in contatto con loro. 

Forse il territorio non è del tutto disabitato. Scopriamo infatti che i marziani, per difendersi dagli attacchi terrestri, rubano i loro ricordi rifacendoglieli rivivere per sedurli e distruggerli: la memoria dei nemici diventa una strategia di difesa contro loro stessi.

Ph. Flavia De Muro

Seguendo le voci rassicuranti dei loro cari, i terrestri scoprono un luogo nascosto nella superficie di Marte, un luogo magico dove i ricordi riprendono vita e mettono in risalto l’irrazionalità del bambino che vive dentro ognuno di loro: una festa di compleanno, una tavola da ping-pong, qualche giocattolo imballato dentro scatoloni pronti ad essere aperti. Tutti questi oggetti non diventano altro che una messinscena simbolica per far riflettere lo spettatore sul comportamento sbagliato che la civiltà adotta, in ambito sociale, fin dall’infanzia: ogni azione, infatti, dal dover dimostrare chi salta meglio la corda, al pretendere di riottenere subito dagli altri qualcosa che ci è stato strappato via, diventa un pretesto per imporre la propria supremazia sull’intera società, accantonando i sentimenti altrui pur di far prevalere il proprio benessere. L’egoismo della collettività si incastra perfettamente con l’immagine della “ludoteca marziana” e sugli effetti che essa scatena in chi si ritrova a giocare al suo interno: i comportamenti adottati dai tre protagonisti, infatti, riflettono tutti quei modi di comportarsi che sono propri della nostra civiltà e, con essi, le problematiche che comportano al giorno d’oggi in una società che non conosce più il significato dell’attesa, il farsi da parte e riconoscere i propri limiti per non distruggere ciò che ci circonda – come la Terra che da molti anni ci ospita e che se oggi si ritrova in questo stato è solo a causa della sconfinata volontà che ha l’uomo di conoscere l’inconoscibile. 

Le luci si spengono e la scena cambia, inizia il “terzo atto”: i protagonisti ci riportano indietro nel tempo attraverso un flashback, alla conferenza stampa avvenuta prima del lancio su Marte. Il comandante, il generale e la dottoressa, ognuno con la propria personalità, espongono il loro punto di vista riguardo la spedizione: se il generale Di Renzi risponde alle domande dei giornalisti in modo più conciso e realista, il comandante Russo prende l’intervista meno seriamente lasciando spazio a battute, mentre la dottoressa Rinaldi equilibra le risposte dei suoi compagni rimanendo razionale e positiva.

La scena cambia nuovamente e i protagonisti dello spettacolo avanzano verso la platea spogliandosi del loro personaggio-astronauta. Ci raccontano ciò che, ad oggi, si conosce di Marte. E ciò che sappiamo in realtà è molto poco, quasi un nulla, e sicuramente non sarebbe giusto addentrarsi nella sua superficie per ridurla nello stesso stato in cui abbiamo ridotto la Terra.

La domanda che Giacomo Bisordi e il suo cast rivolgono allo spettatore è chiara: è davvero giusto andare su Marte con il pretesto di ricominciare da capo per poi trasformarlo in un luogo invivibile come abbiamo fatto con la Terra? Seppur apparentemente lontana, la “questione Marte” ci è più vicina di quanto crediamo.

21 aprile 2024, Vittoria Federiconi