MACBETTU

Entrare a teatro significa, spesse volte, cambiare mondo, realtà, farsi spazio fra universi paralleli e alternativi. Il Macbeth di Alessandro Serra, ribattezzato Macbettu, ha aperto la strada verso una Sardegna arcaica, fuori dai luoghi comuni ai quali a volte associamo questo piccolo continente nel continente (come l’ha definita Giovanni Carroni, traduttore, consulente linguistico e interprete del personaggio di Banquo). Lingua, danze, riti e abitudini dell’entroterra sardo si sono mostrati nella loro nudità direttamente agli spettatori che hanno potuto fruire, percepire e assaporare il calore della Barbagia, il cuore della seconda isola più grande d’Italia. Nonostante la difficoltà nel seguire il testo totalmente in lingua barbaricina, un’idioma a sé stante completamente slegato dall’italiano e molto più vicino al latino, il Macbeth di Shakespeare è stato il contenuto perfetto di un contenitore estremamente vivace.

Ogni scena è stata curata al dettaglio, con una precisione maniacale. Sembrava di trovarsi di fronte ad un album di fotografie, una serie di immagini perfettamente costruite e incredibilmente suggestive. Durante l’incontro post-spettacolo di domenica 6 maggio il regista ha ammesso la sua passione per la fotografia, nata per caso all’età di 18 anni. Il lavoro di documentazione è stato molto complesso, ammette Alessandro Serra, ed è durato diversi mesi. Il risultato di questo lungo processo è stato incredibilmente soddisfacente, niente male per uno che ammette di “non saper far niente”. Il testo fra i più cupi e tetri dell’autore inglese era il giusto punto di partenza, la giusta antitesi per il regista, la cui intenzione principale era quella di trasmettere, invece, le tradizioni carnevalesche della Sardegna alle quali è molto legato (essendo di origini sarde). Serra non nasconde l’autobiografismo dell’opera e ammette che questo è uno dei lavori più personali della sua carriera: un’occasione per ritornare al passato e trasmettere tramite il teatro il suo legame con la terra natale.

Tutto ciò passava tramite un unico canale: i corpi degli attori. La compagnia, capitanata da Leonardo Capuano, interprete di Macbettu, è composta esclusivamente da uomini, anche per rispettare la tradizione del teatro elisabettiano. Fisicamente molto preparati hanno saputo riempire uno spazio, come spesso avviene negli spettacoli di Serra, quasi completamente vuoto e assente di scenografia. Sguardi fissi, gesti semplici, concreti, puliti. Una voce capace di andare al di là del significante (che la maggior parte del pubblico senza leggere i sopratitoli non poteva comprendere), ma ricca di significati. Infine, estremamente piacevole la mossa di alleggerire il testo, allargando ed enfatizzando le scene comiche: la comicità è stata affidata alle tre streghe barbute, le quali ad ogni loro ingresso riempivano di risate la platea, con gesti, battute e modi al quanto esilaranti.

In definitiva lo spettacolo piace a tutti: alla critica che gli ha già assegnato il premio Ubu e al pubblico che il 6 maggio al teatro Argentina ha costretto la compagnia a spostarsi per l’incontro dalla solita sala Squarzina, troppo piccola per contenere oltre cento persone, alla sala. Un piccolo episodio che ha permesso di restituire ad Alessandro Serra e alla sua compagnia le emozioni trasmesse in 100 minuti di spettacolo. Ora non ci resta che aspettare una nuova produzione, una nuova collaborazione fra Serra e la compagnia sarda per far sì che si ripeta tale miracolo. Ma su questo argomento nessuno si è scomposto…

Giuseppe Amatulli

 

Teatro Argentina, 4 – 6 maggio 2018
MACBETTU
di Alessandro Serra
tratto dal Macbeth di William Shakespeare
regia, scene, luci, costumi Alessandro Serra
con Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Andrea Carroni, Giovanni Carroni, Maurizio Giordo
Stefano Mereu, Felice Montervino
traduzione in sardo e consulenza linguistica Giovanni Carroni