Watermelon seeds machine-gun

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(ovvero di come abitare un ricordo e restituirlo senza utilizzare google)

Date le premesse, che suonano un po’ di “mani avanti” perdonerete senza dubbio gli eventuali errori e mancanze dovute al deterioramento dei ricordi dovuto al tempo, disturbi neurologici e simili. Se così non fosse interrompete immediatamente la lettura. Avrete così risparmiato dei minuti preziosi che nessuno vi restituirà e rimarremo ancora amici.

Giorno 2 (lo so è saltuario, ma necessario)
Cara mamma,
come ad ogni festival di teatro che si rispetti, anche qui a Kilowatt ci danno da mangiare. La qualità è alta e i ristoratori assai umani.
Trovo necessario affrontare la tematica del cibo nei festival artistici, giusto per non esser da meno di altri ben più critici umani che spesso li popolano.
In fondo è giusto far sapere al lettore che lo gnocco fritto o un bel panino con la ‘nduja ci ha fatto entrare più sereni al debutto nazionale dell’artista di turno.
Non perdiamoci troppo perché è d’altro che voglio parlare.
Ristorante “Il Fiorentino”, Sansepolcro, un pranzo domenicale di quelli che ti fanno ricordare la nonna prima che l’alzheimer le rubasse ogni ricetta.
D’improvviso un’onda, anzi uno tsunami di storia ci travolge. Pare che quel luogo, esista fin dal 1807, fondato da un certo Luigi Bosi, uomo di grande cultura, benestante and selfmade man, che di colpo dopo anni di fruttuosi studi, decide di mollare tutto ed apre questo locale.
La cultura e il suo charme (mi piace pensarlo vestito elegante, quegli uomini che uniscono perfettamente eleganza e semplicità, tipo Clooney per intenderci) lo aiutano a volteggiar tra i tavoli facendolo subito divenire polo d’attrazione e d’interesse per i passanti. Nomi più o meno famosi decidono così, informalmente di ribattezzare il suo albergo dell’Aquila Nera col nome de “Il Fiorentino” sicuramente più evocativo e diretto. (e si sa che quando c’è da esser diretti i toscani non li frega nessuno)
Quando si dice è l’uomo a fare il luogo e non il contrario.
Piccola informazione di vago sentore femminista, sappiate che quel luogo per ben sette anni, dal 1807 al 1814 (giuro che non ho aperto google) fu un caffè letterario per donne, ovviamente altolocate, ma pur sempre per sole donne. (Vi prego di immaginare il salottino ottocentesco, musica giusta, cagnolini nelle maniche delle signore. Bene ora fatele parlare. Perfetto ora traducete il tutto in un contrattissimo dialetto toscano e subito sarà magia)
Bene dicevo, non è il luogo a far l’uomo, ma viceversa.
Luoghi pregni di noi. Ho letto, non ricordo dove, che la polvere siamo noi.
Piccole, infinitesimali particelle delle nostre cellule, ma suvvia diciamolo più poeticamente: piccole parti del nostro essere che lasciamo in giro per il mondo.
Quindi più abitiamo un luogo più quel luogo diviene un prolungamento della nostra essenza. Mi piace pensare che quella vita percepita in quel quadro al centro della sala del ristorante, brillasse di questa luce proprio grazie alla polvere del Signor Bosi, che da quella bicicletta ci ha sorriso e offerto pure un amaro.
Nulla accade per caso, ed infatti poche ore dopo mi trovo guidato dalla dolce Elena, in compagnia di altri tre villeggianti, verso l’appartamento del Progetto Demoni, il sole picchia, non abbiamo dormito molto, “oggi c’è la finale dei mondiali” dice qualcuno “Eh sticazzi” sussurro, ma nessuno mi sente, “per fortuna” mi dico poi, perché non faceva poi così ridere. Quando qualcuno non ride alle tue battute è devastante non trovate?
Ho già detto che il sole picchiava tipo Tyson negli anni d’oro?
Si? Benissimo.
Arriviamo davanti alla porta, entriamo, ripide scale, strette, ma altro non vi dirò di questo capolavoro teatrale, diventerebbe spoiler, la gente mi odierebbe e poi mica son qui a fare recensioni, è altro che voglio restituirvi.
Un collegamento perfetto, di quelli che ti fanno credere nell’ordine cosmico dell’universo, che esiste una giustizia divina per la quale anche tu troverai un amore grande come quello.
Ho avuto la fortuna di abitare l’assenza di questi due luoghi (Grazie Carlo Fabrizi per la perfetta definizione).
Vivere l’assenza e cercare di ricostruire il ricordo attraverso l’immaginazione collettiva di chi non sa e attraverso la memoria di chi ha toccato con mano.
Un frammento, un’istante, delle parole dalle labbra di Alessandra entrano dritte dove non vorresti, gli occhi tremano, atto di pudore per non piangere, in fondo c’è gente, poi te ne freghi, siamo qui, siamo umani, siamo villeggianti e possiamo piangere anche davanti a tutti, non ne abbiamo timore. Orgoglio vaffanculo.

“Provate a ricordare il vostro primo ricordo, è banale non trovate?” (scusate lo spoiler, ma è necessario al concetto, mi perdonino anche gli artisti)
In quel momento penso, subito mi dico “non fare il paraculo, pensa davvero al primo” e mi ritrovo con la bocca appiccicosa, magliettina un poco macchiata, dissetato, in campeggio, a tavola con la famiglia a fare a gara con mio fratello a chi mangiava più in fretta la propria fetta di anguria, facendo attenzione però a tenere in bocca tutti i semini neri per la seconda fase della sfida: appostarsi in un luogo, tipo ninja dei cartoni animati e sparare tutti quei semi sulla schiena dei malcapitati parenti intenti a consumare la pennichella post-prandiale.
Una sorta di fuoco incrociato di due mitragliatrici di semi d’anguria.
Un istante di eternità, di cui mi han fatto dono i Demoni e il Bosi. Congelato, messo in un cassetto lontano dalla luce per conservarlo meglio. Ecco cosa ho vissuto.
Per questo scende una lacrima, perché quelle parole, hanno riportato alla luce una parte di me, una di quelle che avevo dimenticato.
Chissà quante altre. Chissà quante.
Ancora oggi sono tormentato dalla caustica domanda emersa appena uscito da questa giornata: quanti semi d’anguria devo ancora sputare prima di ricordarmi una buona volta di non dimenticare?
Magari potremmo provare a dimenticarci di dimenticare.
Se funziona fatemi sapere.

Boris Stozzi
Disegno di Chia Azz

DAL 13 AL 21 LUGLIO 2018
KILOWATT FESTIVAL – SANSEPOLCRO (Arezzo)
L’energia della scena contemporanea
DIVERSI PERCHÉ UMANI